

L’Articolo di Jack Alexander
(Dal numero del 1° marzo 1941 del Saturday Evening Post)

Alcolisti Anonimi
Tre uomini erano seduti attorno al letto di un paziente alcolizzato nel reparto psichiatrico del Philadelphia General Hospital un pomeriggio di qualche settimana fa. L’uomo nel letto, che per loro era un completo sconosciuto, aveva quello sguardo tirato e leggermente ottuso tipico degli ubriaconi mentre si riprendono dopo una sbornia. L’unica cosa degna di nota dei visitatori, a parte l’evidente contrasto tra il loro aspetto curato e quello del paziente, era il fatto che ognuno di loro aveva vissuto più volte quel processo di disintossicazione. Erano membri di Alcoholics Anonymous, un gruppo di ex bevitori problematici che hanno fatto del soccorso ad altri alcolisti la loro vocazione.
L’uomo nel letto era un meccanico. I suoi visitatori erano stati educati a Princeton, Yale e Pennsylvania e svolgevano, per professione, il venditore, l’avvocato e l’addetto stampa. Meno di un anno prima, uno di loro era stato legato con le manette nello stesso reparto. Un altro era quello che gli alcolisti chiamano un “pendolare dei sanatori”: aveva girato da un istituto all’altro, tormentando il personale dei principali centri di trattamento del paese. Il terzo aveva passato vent’anni della sua vita, sempre fuori dalle mura di un istituto, a rendere la vita impossile a se stesso, alla sua famiglia, ai datori di lavoro e a vari parenti benintenzionati che avevano avuto la temerarietà di intervenire.
L’aria del reparto era satura dell’odore di paraldeide, un cocktail sgradevole che sa di alcol ed etere, usato dagli ospedali per ridurre gradualmente l’intossicazione e calmare i nervi a fior di pelle del bevitore. I visitatori sembravano indifferenti sia a quello che all’atmosfera deprimente dei reparti psichiatrici. Fumarono e chiacchierarono con il paziente per una ventina di minuti, poi lasciarono i loro biglietti da visita e se ne andarono. Se l’uomo nel letto avesse voluto rivedere uno di loro, gli dissero, avrebbe dovuto solo fare una telefonata.
Gli fecero capire chiaramente che, se avesse davvero voluto smettere di bere, avrebbero lasciato il lavoro o si sarebbero alzati nel cuore della notte per correre da lui. Se avesse scelto di non chiamare, sarebbe finita lì. I membri di Alcoholics Anonymous non inseguono né coccolano un potenziale candidato che tergiversa, e conoscono i trucchi dell’alcolista come un truffatore pentito conosce l’arte della manipolazione.
In questo risiede gran parte della forza unica di un movimento che, negli ultimi sei anni, ha portato alla sobrietà circa 2.000 uomini e donne, molti dei quali erano considerati casi senza speranza dalla medicina. Medici e religiosi, lavorando separatamente o insieme, erano sempre riusciti a salvarne qualcuno. In casi isolati, alcuni bevitori avevano trovato metodi propri per smettere. Ma i progressi contro l’alcolismo erano stati insignificanti, e rimane uno dei grandi enigmi irrisolti della salute pubblica.
Di natura permaloso e sospettoso, l’alcolista vuole essere lasciato solo a risolvere il suo problema, e ha un comodo modo di ignorare la tragedia che intanto infligge a chi gli sta vicino. Si aggrappa disperatamente alla convinzione che, anche se in passato non è riuscito a controllare l’alcol, alla fine ce la farà a diventare un bevitore moderato. Una delle creature più strane della medicina, è spesso una persona acutamente intelligente. Si scontra con professionisti e parenti che cercano di aiutarlo e trae un perverso piacere dal farli inciampare nelle discussioni.
Non c’è scusa speciosa per bere che i membri di Alcoholics Anonymous non abbiano già sentito o usato loro stessi. Quando un potenziale candidato offre loro una razionalizzazione per la sua ubriacatura, ne contrappongono una mezza dozzina tratte dalla loro esperienza. Questo lo sconcerta un po’, e diventa difensivo. Guarda i loro abiti curati e i volti ben rasati e li accusa di essere bravi ragazzi che non sanno cosa significhi lottare con il bere. Loro rispondono raccontando le loro storie: i doppi whisky e cognac prima di colazione; il vago senso di disagio che precede una sbornia; il risveglio dopo una baldoria senza ricordare nulla di quello che è successo per giorni e l’angoscia di aver forse investito qualcuno con la macchina.
Raccontano delle bottiglie da otto once di gin nascoste dietro i quadri e in nascondigli dalla cantina alla soffitta; di passare intere giornate al cinema per evitare la tentazione di bere; di sgattaiolare fuori dall’ufficio per un goccetto veloce durante il giorno. Parlano di aver perso il lavoro e di aver rubato soldi dalla borsa della moglie; di mettere pepe nel whisky per dargli sapore; di bere amari e pastiglie sedative, o collutorio e tonico per capelli; di prendere l’abitudine di aspettare davanti alla taverna del quartiere dieci minuti prima dell’apertura. Descrivono una mano così tremante da non riuscire a sollevare un bicchierino senza rovesciarlo; bere liquore da una boccale da birra perché si può tenere con due mani, anche a rischio di scheggiarsi un dente; legare un asciugamano al bicchiere, avvolgerlo dietro la nuca e tirarlo con l’altra mano; mani così scosse da sembrare sul punto di staccarsi e volare via; stare seduti sulle mani per ore per impedirglielo.
Questi e altri frammenti di esperienza alcolica di solito convincono l’alcolista di avere di fronte dei fratelli di sangue. Si costruisce così un ponte di fiducia, che supera un abisso in cui si erano persi medici, ministri, preti e parenti impotenti. Attraverso questa connessione, i membri di AA trasmettono, poco a poco, i dettagli di un programma di vita che ha funzionato per loro e che, credono, può funzionare per qualsiasi altro alcolista. Escludono solo i casi psicotici o chi ha già subito danni fisici irreversibili, come l’encefalopatia alcolica. Allo stesso tempo, si assicurano che il candidato riceva tutte le cure mediche necessarie.
Molti medici e istituti in tutto il paese suggeriscono oggi Alcoholics Anonymous ai loro pazienti alcolisti. In alcune città, i tribunali e gli ufficiali di sorveglianza collaborano con il gruppo locale. In alcuni reparti psichiatrici urbani, i membri di AA hanno gli stessi privilegi di visita del personale. Il Philadelphia General è uno di questi. Il dottor John F. Stouffer, psichiatra capo, afferma: “Gli alcolisti che arrivano qui sono per lo più quelli che non possono permettersi cure private, e questa è di gran lunga la cosa migliore che abbiamo mai potuto offrire loro. Anche tra quelli che a volte ricadono e finiscono di nuovo qui, notiamo un profondo cambiamento nella personalità. Sarebbero irriconoscibili”.
L’Illinois Medical Journal, in un editoriale dello scorso dicembre, è andato oltre il dottor Stouffer, dichiarando: “È davvero un miracolo quando una persona che per anni è stata più o meno costantemente sotto l’effetto dell’alcol e in cui i suoi amici avevano perso ogni fiducia, passa tutta la notte con un ubriaco e a intervalli regolari gli somministra una piccola quantità di liquido secondo le indicazioni del medico, senza bere una goccia lui stesso”.
Questo è un riferimento a uno degli aspetti più comuni delle avventure da Mille e una Notte a cui si dedicano i membri di AA. Spesso implica sedersi sopra, oltre che accanto, l’intossicato, poiché l’impulso di saltare dalla finestra sembra attraente a molti alcolisti quando sono ubriachi. Solo un alcolista può stare accovacciato sul petto di un altro alcolista per ore con la giusta combinazione di disciplina e comprensione.
Durante un recente viaggio tra l’Est e il Midwest, ho incontrato e parlato con decine di membri di A.A. (come loro stessi si definiscono) e li ho trovati persone insolitamente calme e tolleranti. In qualche modo, sembravano più equilibrati della media dei non alcolisti. La loro trasformazione da combattivi ubriaconi, bevitori di alcol denaturato e, in alcuni casi, picchiatori di mogli, era sorprendente. In uno dei giornali più influenti del paese, scoprii che il caporedattore, il vice caporedattore e un giornalista di fama nazionale erano membri di A.A., e godevano della piena fiducia del loro editore.
In un’altra città, assistei a un giudice che affidava in libertà vigilata un automobilista ubriaco a un membro di A.A. Quest’ultimo, durante i suoi anni da bevitore, aveva distrutto diverse auto e gli era stata revocata la patente. Il giudice lo conosceva ed era felice di fidarsi di lui. Un brillante dirigente di un’agenzia pubblicitaria mi rivelò che due anni prima chiedeva l’elemosina e dormiva in un portone sotto una struttura sopraelevata. Aveva un portone preferito, che condivideva con altri senzatetto, e ogni tanto ci torna per assicurarsi di non stare sognando.
Ad Akron, come in altri centri industriali, i gruppi includono molti operai. Al Cleveland Athletic Club, pranzai con cinque avvocati, un commercialista, un ingegnere, tre venditori, un assicuratore, un acquirente, un barista, il direttore di una catena di negozi, il gestore di un negozio indipendente e un rappresentante di fabbrica. Erano membri di un comitato centrale che coordina il lavoro di nove gruppi locali. Cleveland, con oltre 450 membri, è il più grande centro di A.A. Seguono Chicago, Akron, Philadelphia, Los Angeles, Washington e New York. In totale, ci sono gruppi in circa cinquanta città.
Parlando del loro lavoro, i membri di A.A. definiscono il salvataggio di ubriachi come “assicurazione” per se stessi. L’esperienza all’interno del gruppo ha dimostrato, dissero, che quando un ex bevitore rallenta in questa attività, è probabile che ricominci a bere. Concordarono sul fatto che non esiste un “ex-alcolista”. Se uno è un alcolista – cioè una persona incapace di bere normalmente – lo rimane fino alla morte, proprio come un diabetico rimane diabetico. Il massimo che può sperare è diventare un caso “arrestato”, con il salvataggio di ubriachi come sua insulina. Almeno, i membri di A.A. lo affermano, e l’opinione medica tende a sostenerli. Quasi tutti dissero di aver perso ogni desiderio di alcol. Molti servono ancora liquori in casa quando arrivano amici e frequentano bar con compagni che bevono. I membri di A.A. si limitano a bibite analcoliche e caffè.
Uno di loro, un direttore vendite, fa da barista durante la festa annuale della sua azienda ad Atlantic City e passa le notti a mettere a letto gli ubriachi. Solo pochi di quelli che guariscono non perdono la sensazione che, da un momento all’altro, potrebbero bere un goccio e partire per una sbornia disastrosa. Un membro di A.A., impiegato in una città dell’Est, non tocca alcol da tre anni e mezzo, ma dice di dover ancora camminare veloce davanti ai bar per vincere l’impulso. Ma lui è un’eccezione. L’unico retaggio dei giorni selvaggi che tormenta i membri di A.A. è un incubo ricorrente: nel sogno, si ritrovano in una sbronza colossale, cercando disperatamente di nascondere la loro condizione. Anche questo sintomo, nella maggior parte dei casi, scompare presto. Sorprendentemente, il tasso di occupazione tra queste persone, che un tempo si facevano licenziare per colpa dell’alcol, si aggira intorno al 90%.
I membri di A.A. sostengono un tasso di successo del 100% con i bevitori non psicotici che vogliono davvero smettere. Il programma, aggiungono, non funziona con chi “vorrebbe voler smettere” o chi vuole farlo per paura di perdere famiglia o lavoro. Il desiderio efficace deve basarsi su un interesse personale illuminato: il candidato deve voler fuggire dall’alcol per evitare il carcere o una morte prematura. Deve essere nauseato dall’isolamento sociale che travolge il bevitore incontrollato e deve voler riordinare la sua vita fallimentare.
Poiché è impossibile escludere tutti i candidati borderline, la percentuale reale di successo scende sotto il 100%. Secondo le stime di A.A., il 50% degli alcolisti recupera immediatamente; il 25% guarisce dopo una o due ricadute; il resto rimane incerto. Questo tasso di successo è eccezionalmente alto. Mancano statistiche sui metodi medici e religiosi tradizionali, ma si stima informalmente che abbiano un’efficacia del 2-3% sui casi comuni.
Sebbene sia troppo presto per dire che A.A. sia la risposta definitiva all’alcolismo, i suoi primi risultati sono impressionanti, e sta ricevendo sostegno promettente. John D. Rockefeller Jr. ha contribuito a coprire le spese iniziali e si è impegnato personalmente per coinvolgere altri uomini influenti.
La donazione di Rockefeller fu modesta, rispettando l’insistenza dei fondatori che il movimento rimanesse volontario e senza compensi. Non ci sono organizzatori stipendiati, quote sociali, cariche ufficiali o controllo centrale. Localmente, gli affitti delle sale si pagano con collette durante le riunioni. Nelle piccole comunità, non si fanno raccolte, perché ci si riunisce in case private. Un piccolo ufficio a New York funge solo da centro di informazione. Non c’è nome sulla porta, e la posta arriva anonima tramite un box postale. L’unico reddito, ricavato dalla vendita di un libro che descrive il lavoro, è gestito dalla Alcoholic Foundation, un consiglio di tre alcolisti e quattro non alcolisti.
A Chicago, venticinque medici collaborano attivamente con gli Alcolisti Anonimi, offrendo i loro servizi e indirizzando i propri pazienti alcolisti al gruppo, che ora conta circa 200 membri. La stessa cooperazione esiste a Cleveland e, in misura minore, in altri centri. Un medico, il dottor W. D. Silkworth di New York, diede al movimento il suo primo incoraggiamento. Tuttavia, molti medici rimangono scettici. Il dottor Foster Kennedy, eminente neurologo newyorkese, probabilmente pensava a loro quando dichiarò a un incontro un anno fa: “L’obiettivo di coloro che sono impegnati in questo sforzo contro l’alcolismo è elevato; il loro successo è stato considerevole; e credo che gli uomini di medicina di buona volontà dovrebbero aiutare.”
L’aiuto attivo di due medici di buona volontà, i dottori A. Wiese Hammer e C. Dudley Saul, ha contribuito notevolmente a rendere il gruppo di Philadelphia uno dei più efficaci tra quelli più giovani. Il movimento ebbe inizio lì in modo casuale nel febbraio 1940, quando un uomo d’affari convertito agli A.A. fu trasferito da New York a Philadelphia. Temendo di ricadere per mancanza di lavoro di recupero, il nuovo arrivato radunò tre abituali frequentatori di bar del posto e iniziò a lavorare con loro. Li portò alla sobrietà, e il quartetto cominciò a scovare altri casi. Entro il 15 dicembre scorso, novantanove alcolisti si erano uniti al gruppo. Di questi, ottantasei erano diventati astemi totali: trentanove da uno a tre mesi, diciassette da tre a sei mesi e venticinque da sei a dieci mesi. Cinque, che si erano uniti al gruppo dopo aver fatto parte di altri gruppi in altre città, non bevevano da uno a tre anni.
All’estremità opposta della scala temporale, Akron, dove il movimento è nato, detiene il record interno di astinenza prolungata. Secondo un recente controllo, due membri sono rimasti sobri per cinque anni e mezzo, uno per cinque anni, tre per quattro anni e mezzo, uno per lo stesso periodo con una ricaduta, tre per tre anni e mezzo, sette per tre anni, tre per tre anni con una ricaduta ciascuno, uno per due anni e mezzo e tredici per due anni. In precedenza, la maggior parte degli abitanti di Akron e Philadelphia non era riuscita a stare lontana dall’alcol per più di poche settimane.
Nel Midwest, il lavoro è stato svolto quasi esclusivamente tra persone che non erano ancora arrivate alla fase istituzionale. Il gruppo di New York, che ha un nucleo simile, si è specializzato come attività collaterale nei casi più gravi e ha ottenuto risultati sorprendenti. Nell’estate del 1939, il gruppo iniziò a lavorare con gli alcolisti ricoverati al Rockland State Hospital di Orangeburg, un vasto ospedale psichiatrico che accoglie il flusso senza speranza degli alcolisti cronici dei grandi centri urbani. Con l’incoraggiamento del dottor R. E. Baisdell, direttore medico, fu formato un gruppo all’interno delle mura e gli incontri si tenevano nella sala ricreativa. I membri degli A.A. di New York si recavano a Orangeburg per tenere discorsi, e la domenica sera i pazienti venivano portati con autobus di proprietà dello Stato in un club affittato dal gruppo di Manhattan sulla West Side.
Il primo luglio dell’anno scorso, undici mesi dopo, i registri dell’ospedale mostrarono che, su cinquantaquattro pazienti dimessi e affidati agli Alcolisti Anonimi, diciassette non avevano avuto ricadute e altri quattordici ne avevano avuta solo una. Degli altri, nove erano tornati a bere nelle loro comunità, dodici erano rientrati in ospedale e due non erano stati rintracciati. Il dottor Baisdell ha scritto favorevolmente sul lavoro al Dipartimento statale di Igiene Mentale e lo ha elogiato ufficialmente nel suo ultimo rapporto annuale.
Risultati ancora migliori sono stati ottenuti in due istituti pubblici del New Jersey, Greystone Park e Overbrook, che attirano pazienti di estrazione economica e sociale più elevata rispetto a Rockland, grazie alla loro vicinanza a ricchi villaggi suburbani. Secondo i registri degli A.A., su sette pazienti dimessi da Greystone Park in due anni, cinque sono rimasti astemi per periodi da uno a due anni. Otto dei dieci dimessi da Overbrook sono rimasti sobri per circa lo stesso periodo. Gli altri hanno avuto da una a diverse ricadute.
PERCHÉ ALCUNE persone diventano alcolisti è una domanda su cui le autorità non sono d’accordo. Pochi pensano che qualcuno sia “nato alcolista”. Si può nascere, dicono, con una predisposizione ereditaria all’alcolismo, proprio come si può nascere con una vulnerabilità alla tubercolosi. Il resto sembra dipendere dall’ambiente e dall’esperienza, anche se una teoria sostiene che alcune persone siano allergiche all’alcol, come chi soffre di febbre da fieno lo è ai pollini. L’unico tratto comune a tutti gli alcolisti è l’immaturità emotiva. Strettamente correlata a ciò è l’osservazione che un numero insolitamente elevato di alcolisti inizia la vita come figlio unico, come figlio più giovane, come unico maschio in una famiglia di femmine o unica femmina in una famiglia di maschi. Molti hanno storie di precocità infantile ed erano quelli che si definiscono bambini viziati.
Spesso, la situazione è complicata da un’atmosfera familiare squilibrata, in cui un genitore è eccessivamente crudele e l’altro troppo indulgente. Qualsiasi combinazione di questi fattori, più un divorzio o due, tende a produrre bambini nevrotici emotivamente impreparati ad affrontare le normali realtà della vita adulta. Nel cercare una via di fuga, uno può immergersi nel lavoro, lavorando dodici-quindici ore al giorno, o in quella che crede essere una piacevole evasione nell’alcol. Esso rafforza la sua opinione di sé e cancella temporaneamente qualsiasi sentimento di inferiorità sociale che potrebbe provare. Il bere moderato porta a bere pesante. Amici e familiari si allontanano e i datori di lavoro si disgustano. Il bevitore cova risentimento e si crogiola nell’autocommiserazione. Si abbandona a razionalizzazioni infantili per giustificare il suo bere: ha lavorato duramente e merita di rilassarsi; la gola gli fa male per una vecchia tonsillectomia e un drink allevierebbe il dolore; ha mal di testa; sua moglie non lo capisce; i suoi nervi sono a fior di pelle; tutti sono contro di lui; e così via. Diventa inconsciamente un cronico inventore di scuse per se stesso.
Per tutto il tempo in cui beve, ripete a se stesso e a chi si intromette nei suoi affari che potrebbe davvero diventare un bevitore controllato, se solo lo volesse. Per dimostrare la sua forza di volontà, passa settimane senza toccare una goccia di alcol. Si assicura di presentarsi al suo bar preferito alla stessa ora ogni giorno e, con ostentazione, sorseggia latte o una bibita gassata, senza rendersi conto di star cedendo a un infantile esibizionismo. Falsamente rassicurato, passa a una routine di una birra al giorno, e quello è di nuovo l’inizio della fine. La birra porta inevitabilmente a più birra, e poi ai superalcolici. I superalcolici conducono a un’altra sbornia devastante. Stranamente, il grilletto che scatena l’esplosione può essere tanto un successo negli affari quanto una serie di sfortuna. Un alcolista non sopporta né la prosperità né l’avversità.
La vittima è confusa quando emerge dalla nebbia alcolica. Senza che se ne accorga, un’abitudine è gradualmente diventata un’ossessione. Dopo un po’, non ha più bisogno di razionalizzazioni per giustificare il primo drink fatale. Tutto ciò che sa è che si sente travolto da un’inquietudine o un’euforia inspiegabili, e prima di rendersene conto, si ritrova in piedi davanti a un bancone con un bicchierino di whisky vuoto e una sensazione stimolante in gola. Per qualche strano capriccio della mente, è riuscito a calare un velo sul ricordo del dolore intenso e del rimorso causati dalle sbronze precedenti. Dopo molte esperienze di questo tipo, l’alcolista inizia a rendersi conto di non comprendersi più; si chiede se la sua forza di volontà, solida in altri ambiti, non sia invece impotente contro l’alcol. Potrebbe continuare a combattere la sua ossessione e finire in un sanatorio. Potrebbe arrendersi, giudicando la battaglia persa, e tentare il suicidio. Oppure potrebbe cercare aiuto esterno.
Se si rivolge agli Alcolisti Anonimi, viene prima portato ad ammettere che l’alcol lo ha sconfitto e che la sua vita è diventata ingestibile. Raggiunto questo stato di umiltà intellettuale, gli viene somministrata una dose di religione nel senso più ampio. Gli viene chiesto di credere in un Potere più grande di lui, o almeno di mantenere una mente aperta sull’argomento mentre prosegue con il resto del programma. Qualsiasi concetto di Potere Superiore è accettabile. Uno scettico o un agnostico può scegliere di pensare al suo Sé interiore, al miracolo della crescita, a un albero, allo stupore dell’uomo di fronte all’universo fisico, alla struttura dell’atomo, o alla semplice infinità matematica. Qualunque forma visualizzi, al neofita viene insegnato che deve fare affidamento su di essa e, a modo suo, pregare il Potere affinché gli dia forza.
Successivamente, fa un breve bilancio morale di se stesso con l’aiuto privato di un’altra persona – uno dei suoi sponsor A.A., un prete, un pastore, uno psichiatra, o chiunque altro preferisca. Se gli dà sollievo, può alzarsi a un incontro e elencare le sue colpe, ma non è obbligato a farlo. Restituisce ciò che potrebbe aver rubato da ubriaco, si impegna a saldare vecchi debiti e a coprire assegni a vuoto; risarcisce le persone che ha maltrattato e, in generale, ripulisce il suo passato per quanto possibile. Non è raro che i suoi sponsor gli prestino denaro per aiutarlo nelle prime fasi.
Questa catarsi è considerata cruciale a causa della spinta che un senso di colpa esercita sull’ossessione alcolica. Poiché nulla spinge un alcolista verso la bottiglia più dei risentimenti personali, l’allievo stila anche un elenco dei suoi rancori e si impegna a non farsi turbare da essi. A questo punto, è pronto per iniziare a lavorare con altri alcolisti attivi. Grazie al processo di estroversione richiesto da questo lavoro, riesce a pensare meno ai propri problemi.
Più bevitori riesce a coinvolgere negli Alcolisti Anonimi, maggiore diventa la sua responsabilità verso il gruppo. Ora non può ubriacarsi senza danneggiare le persone che si sono dimostrate le sue migliori amiche. Sta iniziando a maturare emotivamente e a smettere di essere un peso. Se cresciuto in una Chiesa ortodossa, di solito (ma non sempre) torna a essere un fedele praticante.
Parallelamente alla trasformazione dell’alcolista, avviene il processo di adattamento della famiglia al suo nuovo stile di vita. Il coniuge di un alcolista, e spesso anche i figli, diventano nevrotici dopo anni di esposizione agli eccessi alcolici. La rieducazione della famiglia è una parte essenziale del programma di follow-up ideato dal gruppo.
Gli Alcolisti Anonimi, più che una scoperta nuova, sono una sintesi di idee antiche, e devono la loro esistenza alla collaborazione tra un broker di New York e un medico di Akron. Entrambi alcolisti, si incontrarono per la prima volta poco meno di sei anni fa. In trentacinque anni di bevute periodiche, il dottor Armstrong (per dare al medico un nome fittizio) si era fatto licenziare dalla maggior parte dei suoi pazienti. Armstrong aveva provato di tutto, incluso il Gruppo Oxford, senza miglioramenti. Il giorno della Festa della Mamma del 1935, barcollò a casa, ubriaco fradicio, trascinando una costosa pianta in vaso che depose in grembo alla moglie. Poi salì al piano di sopra e crollò.
In quel momento, un broker di New York, che chiameremo Griffith, nervosamente passeggiava nella hall di un hotel di Akron. Griffith era nei guai. Nel tentativo di riprendere il controllo di un’azienda e ricostruire le sue finanze, era arrivato a Akron e si era lanciato in una battaglia per le deleghe. L’aveva persa. Il conto dell’hotel era insoluto. Era quasi al verde. Griffith voleva un drink.
Durante la sua carriera a Wall Street, Griffith aveva concluso affari importanti e aveva prosperato, ma, a causa di sbornie fuori tempo, aveva perso le sue migliori opportunità. Cinque mesi prima di arrivare a Akron, aveva smesso di bere grazie all’intervento del Gruppo Oxford a New York. Affascinato dal problema dell’alcolismo, era tornato più volte come visitatore in un ospedale di disintossicazione sulla Central Park West, dove era stato paziente, per parlare con i ricoverati. Non riuscì a ottenere guarigioni, ma scoprì che aiutando altri alcolisti riusciva a tenere a bada il suo stesso desiderio di bere.
Estraneo a Akron, Griffith non conosceva nessun alcolista con cui confrontarsi. Un elenco di chiese appeso nella hall, di fronte al bar, gli diede un’idea. Telefonò a uno dei pastori indicati e, tramite lui, entrò in contatto con un membro del Gruppo Oxford locale. Quest’ultimo era amico del dottor Armstrong e riuscì a presentare il medico e il broker durante una cena. Fu così che il dottor Armstrong divenne il primo vero discepolo di Griffith. All’inizio, però, era un discepolo traballante. Dopo qualche settimana di astinenza, partì per un congresso medico e tornò a casa ubriaco. Griffith, rimasto ad Akron per sistemare alcune questioni legali legate alla battaglia per le deleghe, lo convinse a tornare sobrio. Era il 10 giugno 1935. I sorsi che il medico prese dalla bottiglia offertagli da Griffith quel giorno furono gli ultimi della sua vita.
Le cause legali di Griffith si trascinarono, trattenendolo ad Akron per sei mesi. Trasferì i bagagli a casa degli Armstrong, e insieme si misero a lavorare con altri alcolisti. Prima che Griffith tornasse a New York, altri due abitanti di Akron si erano convertiti. Nel frattempo, sia Griffith che il dottor Armstrong si erano allontanati dal Gruppo Oxford, convinti che il suo evangelismo aggressivo e alcuni suoi metodi fossero d’intralcio nel lavoro con gli alcolisti. Basarono la loro tecnica su un semplice prendere o lasciare, e la mantennero così.
I progressi furono lenti. Dopo il ritorno di Griffith a Est, il dottor Armstrong e sua moglie, laureata a Wellesley, trasformarono la loro casa in un rifugio gratuito per alcolisti e in un laboratorio per studiare il comportamento degli ospiti. Uno di loro, che all’insaputa dei padroni di casa era anche un maniaco-depressivo, una notte impazzì con un coltello da cucina. Fu bloccato prima che ferisse qualcuno. Dopo un anno e mezzo, dieci persone in totale avevano risposto al programma ed erano astemie. I risparmi della famiglia erano stati spesi per il progetto. La nuova sobrietà del medico aveva rivitalizzato la sua attività, ma non abbastanza da coprire le spese extra. Gli Armstrong andarono avanti lo stesso, a debito. Griffith, che aveva una moglie altrettanto spartana, trasformò la sua casa di Brooklyn in una replica di quella di Akron. La signora Griffith, membro di una vecchia famiglia di Brooklyn, trovò lavoro in un grande magazzino e nel tempo libero faceva da infermiera agli ubriaconi. Anche i Griffiths si indebitarono, e Griffith riuscì a racimolare qualche soldo nelle case di brokeraggio. Entro la primavera del 1939, gli Armstrong e i Griffiths avevano insieme portato alla sobrietà circa cento alcolisti.
In un libro pubblicato allora, gli ex bevitori descrissero il programma di guarigione e raccontarono le loro storie personali. Il titolo era Alcoholics Anonymous. Fu adottato come nome del movimento stesso, che fino ad allora non ne aveva uno. Con la diffusione del libro, il movimento si espanse rapidamente. Oggi, il dottor Armstrong sta ancora cercando di rimettere in piedi la sua attività. È dura. È indebitato per i contributi dati al movimento e il tempo che dedica gratuitamente agli alcolisti. Essendo una figura centrale nel gruppo, non può rifiutare le richieste di aiuto che inondano il suo studio.
Griffith è in una situazione ancora peggiore. Da due anni, lui e sua moglie non hanno una casa nel senso tradizionale del termine. In uno stile che ricorda i primi cristiani, si sono spostati di luogo in luogo, trovando riparo nelle case di colleghi degli A.A. e a volte indossando vestiti prestati.
Ora che hanno avviato qualcosa, entrambi i fondatori vorrebbero ritirarsi ai margini del movimento e dedicare più tempo a risollevarsi economicamente. Ritengono che, così com’è strutturato, il gruppo sia praticamente autogestito e in grado di moltiplicarsi da solo. Dato che non ci sono figure di spicco e nessun corpo di credenze formali da promuovere, non temono che Alcoholics Anonymous possa degenerare in una setta.
La capacità del movimento di auto-avviarsi, di diffondersi e organizzarsi in modo spontaneo, senza bisogno di una struttura gerarchica centralizzata o di un leader carismatico che lo guidi. è evidente dalle lettere conservate negli archivi dell’ufficio di New York. Molte persone hanno scritto dicendo di aver smesso di bere non appena letto il libro, trasformando le proprie case in sedi di piccoli gruppi locali. Persino un gruppo piuttosto numeroso, a Little Rock, è nato così. Un ingegnere civile di Akron e sua moglie, per gratitudine verso la sua guarigione avvenuta quattro anni prima, hanno continuato ad accogliere alcolisti nella loro casa. Su trentacinque ospiti, trentuno sono guariti.
Venti persone di Cleveland captarono l’idea durante una visita ad Akron e tornarono a casa per fondare un loro gruppo. Da Cleveland, attraverso vari canali, il movimento si è diffuso a Chicago, Detroit, St. Louis, Los Angeles, Indianapolis, Atlanta, San Francisco, Evansville e altre città. Un giornalista di Cleveland, alcolista con un polmone collassato chirurgicamente, si trasferì a Houston per motivi di salute. Trovò lavoro in un giornale locale e, attraverso una serie di articoli da lui scritti, avviò un gruppo A.A. che oggi conta trentacinque membri. Un membro di Houston si è trasferito a Miami e ora si adopera per recuperare alcuni degli illustri bevitori della colonia invernale. Un rappresentante di Cleveland in viaggio ha contribuito a fondare piccoli gruppi in diverse parti del paese. Meno della metà dei membri A.A. ha mai incontrato Griffith o il dottor Armstrong.
Per un osservatore esterno, sconcertato – come molti di noi – dal comportamento dei bevitori problematici, i risultati ottenuti sono sorprendenti. Soprattutto nei casi più gravi, alcuni dei quali sono qui descritti sotto nomi fittizi.
Sara Martin era un prodotto dell’epoca di F. Scott Fitzgerald. Nata da genitori benestanti in una città occidentale, frequentò collegi esclusivi sulla costa est e si “completò” in Francia. Dopo il debutto in società, si sposò. Sara passava le notti a bere e ballare fino all’alba. Era nota come una ragazza che reggeva bene l’alcol. Suo marito aveva uno stomaco debole, e lei ne fu disgustata. Divorziarono rapidamente. Dopo che la fortuna del padre era svanita nel 1929, Sara trovò lavoro a New York e si mantenne da sola. Nel 1932, in cerca di avventura, si trasferì a Parigi e avviò un’attività in proprio, che ebbe successo. Continuò a bere pesantemente, rimanendo ubriaca più a lungo del solito. Dopo una sbronza nel 1933, le dissero che aveva cercato di buttarsi dalla finestra. Durante un’altra bevuta, saltò – o cadde, non ricorda – da una finestra del primo piano. Atterrò col viso sul marciapiede e rimase immobilizzata per mesi tra ossa da risistemare, cure dentistiche e chirurgia plastica.
Nel 1936, Sara Martin pensò che tornare negli Stati Uniti l’avrebbe aiutata a bere normalmente. Questa ingenua fiducia nel cambiamento geografico è un classico inganno che tutti gli alcolisti sperimentano prima o poi. Rimase ubriaca per tutto il viaggio in nave. New York la spaventò, e bevve per sfuggirle. Finiti i soldi, iniziò a chiedere prestiti agli amici. Quando questi la tagliarono fuori, frequentò i bar della Terza Avenue, elemosinando drink dagli sconosciuti. Fino a quel momento aveva diagnosticato il suo problema come un esaurimento nervoso. Solo dopo essersi fatta ricoverare in diversi sanatori capì, leggendo, di essere un’alcolista. Su consiglio di un medico, entrò in contatto con un gruppo di Alcolisti Anonimi. Oggi ha un altro buon lavoro e passa molte notti a sedare donne ubriache e isteriche per impedire loro di lanciarsi dalle finestre. Ultracinquantenne, Sara Martin è una donna attraente e serena. I chirurghi parigini fecero un ottimo lavoro.
Watkins è un magazziniere in una fabbrica. Ferito in un incidente con l’ascensore nel 1927, fu messo in congedo retribuito da un’azienda grata che non avesse citato in giudizio per danni. Senza nulla da fare durante una lunga convalescenza, Watkins bighellonò nei bar clandestini. Prima bevitore moderato, iniziò a trascorrere mesi in stato di ebbrezza. Vendette i mobili per pagare i debiti, e la moglie fuggì portando con sé i tre figli. In undici anni, Watkins fu arrestato dodici volte e scontò otto condanne ai lavori forzati. Una volta, in un attacco di delirium tremens, diffuse tra i detenuti la voce che la contea avvelenasse il cibo per ridurre la popolazione carceraria e risparmiare. Scoppiò una rivolta nella mensa. In un altro episodio di D.T., convinto che il detenuto nella cella sopra volesse versargli piombo fuso addosso, Watkins si tagliò i polsi e la gola con una lametta. Mentre si riprendeva in ospedale, con ottantasei punti di sutura, giurò di non bere mai più. Ricadde prima della rimozione delle ultime bende. Due anni fa, un ex compagno di bevute lo indirizzò agli Alcolisti Anonimi, e da allora non ha più toccato alcol. La moglie e i figli sono tornati, e la casa ha nuovi mobili. Ripreso a lavorare, Watkins ha saldato gran parte dei 2.000 dollari di debiti e furti minori e ora sogna una nuova automobile.
A ventidue anni, Tracy, figlio precoce di genitori agiati, era responsabile del credito per una società di investimenti il cui nome è diventato simbolo degli anni Venti ruggenti. Dopo il crollo dell’azienda nel 1929, passò alla pubblicità e raggiunse un ruolo da 23.000 dollari l’anno. Il giorno in cui nacque suo figlio, Tracy fu licenziato. Invece di presentarsi a Boston per concludere un importante contratto pubblicitario, era finito a Chicago in preda all’alcol, perdendo l’affare. Da sempre bevitore incallito, Tracy divenuto un barbone. Beveva alcol denaturato e lozione per capelli, mendicando spiccioli dai poliziotti, sempre generosi con le monetine. In una notte gelida, vendette le scarpe per comprare da bere, infilando un paio di stivaletti di gomma trovati in un portone e imbottendoli di carta per scaldarsi i piedi.
Iniziò a farsi ricoverare in sanatori, più per ripararsi dal freddo che per altro. In una struttura, un medico lo avvicinò al programma A.A. Come parte del percorso, Tracy, cattolico, fece una confessione generale e tornò alla chiesa che aveva abbandonato da tempo. Ricadde nell’alcol più volte, ma dopo un’ultima ricaduta nel febbraio 1939, smise definitivamente. Da allora ha riconquistato un ruolo pubblicitario da 18.000 dollari l’anno.
Victor Hugo avrebbe ammirato Brewster, un avventuriero dalla tempra robusta che affrontava la vita senza compromessi. Era un boscaiolo, un mandriano, un aviatore durante la guerra. Nel dopoguerra, iniziò a portare sempre con sé la fiaschetta e ben presto fece il giro dei sanatori. In uno di questi, dopo aver sentito parlare delle cure con lo shock, corruppe con sigarette l’inserviente di colore della morgue per poter passare i pomeriggi in contemplazione davanti a un cadavere. Il piano funzionò fino al giorno in cui si imbatté in un morto che, per una strana contrazione del volto, sembrava ghignare. Brewster incontrò gli A.A. nel dicembre del 1938 e, dopo aver smesso di bere, trovò lavoro come venditore, che lo costringeva a camminare molto. Nel frattempo, sviluppò la cataratta in entrambi gli occhi. Gliene fu asportata una, recuperando la vista da lontano grazie a spesse lenti. Usava l’altro occhio per la visione ravvicinata, tenendolo dilatato con un collirio per non farsi investire nel traffico. Poi gli si gonfiò una gamba, che divenne bianca come il latte. Nonostante tutto, Brewster continuò a battere i marciapiedi per sei mesi prima di pareggiare i conti. Oggi, a cinquant’anni, ancora ostacolato dai suoi handicap, fa regolarmente il suo giro e guadagna circa 400 dollari al mese.
Per i Brewster, i Martin, i Watkins, i Tracy e gli altri alcolisti redenti, oggi c’è compagnia congeniale ovunque vadano. Nelle grandi città, gli A.A. si incontrano ogni giorno a pranzo nei loro ristoranti preferiti. I gruppi di Cleveland organizzano grandi feste a Capodanno e in altre occasioni speciali, durante le quali si consumano litri di caffè e bibite. A Chicago ci sono open house il venerdì, il sabato e la domenica – alternando il North Side, il West Side e il South Side – così che nessun A.A. solitario ricada nell’alcol durante il weekend per mancanza di compagnia. Alcuni giocano a cribbage o a bridge, e il vincitore di ogni mano versa qualcosa in un fondo comune per coprire le spese. Altri ascoltano la radio, ballano, mangiano o semplicemente chiacchierano. Tutti gli alcolisti, ubriachi o sobri, amano parlare. Sono tra le persone più socievoli al mondo, il che forse spiega perché sono diventati alcolisti in primo luogo.
Jack Alexander
The Saturday Evening Post
1° marzo 1941
TRE UOMINI sedevano attorno al letto di un paziente alcolista nel reparto psichiatrico del Philadelphia General Hospital, un pomeriggio di qualche settimana fa. L’uomo nel letto, per loro un perfetto sconosciuto, aveva quello sguardo spento e vagamente ottuso tipico degli ubriaconi durante la “ripresa” dopo una sbornia. L’unica cosa che distingueva i visitatori — a parte l’evidente contrasto tra il loro aspetto curato e quello del malato — era il fatto che ognuno di loro, in passato, era stato più volte in quello stesso stato di confusione. Erano membri degli Alcolisti Anonimi, un gruppo di ex-bevitori problematici che hanno fatto del salvare altri alcolisti la loro missione.
L’uomo nel letto era un meccanico. I suoi visitatori, invece, si erano formati a Princeton, Yale e Pennsylvania, ed erano, per professione, un venditore, un avvocato e un pubblicitario. Meno di un anno prima, uno di loro era stato legato con le manette in quello stesso reparto. Un altro era quello che gli alcolisti chiamano un “paziente pendolare” — aveva girato da un istituto all’altro, tormentando il personale dei principali centri di disintossicazione del paese. Il terzo, invece, aveva passato vent’anni fuori dagli ospedali, rendendo la vita impossibile a se stesso, alla famiglia, ai datori di lavoro e a tutti quei parenti benintenzionati che avevano avuto la sventura di provare ad aiutarlo.
Nell’aria del reparto si sentiva l’odore acre del paraldeide, un cocktail disgustoso che sa di alcol ed etere, usato negli ospedali per aiutare i bevitori paralizzati dall’astinenza a calmare i nervi a fior di pelle. I visitatori, però, sembravano indifferenti sia a quello che all’atmosfera opprimente delle corsie psichiatriche. Fumarono e chiacchierarono con il paziente per una ventina di minuti, poi lasciarono i loro biglietti da visita e se ne andarono. Se l’uomo nel letto avesse voluto rivederli, gli dissero, gli sarebbe bastato una semplice telefonata.
GLIELO DISSERO chiaro e tondo: se avesse davvero voluto smettere di bere, avrebbero lasciato il lavoro o si sarebbero alzati nel cuore della notte pur di raggiungerlo. Ma se non avesse chiamato, quella sarebbe stata la fine. I membri degli Alcolisti Anonimi non inseguono né coccolano chi cerca scuse, e conoscono i trucchi dell’alcolista come un truffatore pentito conosce l’arte della manipolazione.
È qui che risiede gran parte della forza straordinaria di un movimento che, in soli sei anni, ha restituito la sobrietà a circa 2.000 uomini e donne – molti dei quali considerati casi clinici disperati. Medici e religiosi, singolarmente o insieme, erano sempre riusciti a salvarne qualcuno. Qualche bevitore, in casi isolati, aveva trovato da solo la via d’uscita. Ma i progressi contro l’alcolismo erano stati irrisori, e rimaneva uno dei grandi enigmi irrisolti della sanità pubblica.
Di natura permaloso e sospettoso, l’alcolista vuole essere lasciato solo a combattere con i suoi demoni, mentre ignora con comodo la tragedia che infligge a chi gli sta vicino. Si aggrappa disperatamente alla convinzione che, anche se non è mai riuscito a controllarsi in passato, prima o poi ce la farà a diventare un bevitore moderato. È una delle creature più paradossali della medicina: spesso intelligentissimo, sfida medici e familiari che cercano di aiutarlo, e trae un perverso piacere dal metterli in difficoltà con i suoi ragionamenti contorti.
NON C’È SCUSA per bere che i membri degli Alcolisti Anonimi non abbiano già sentito – o usato loro stessi. Quando un potenziale nuovo membro tira fuori una giustificazione per la sua ultima sbornia, loro ne controbattono con mezza dozzina tratte dalla loro esperienza. Questo lo spiazza. Li osserva, ben vestiti e rasati di fresco, e li accusa di essere bravi ragazzi che non sanno cosa significhi lottare con l’alcol. E allora loro gli raccontano le loro storie: i doppi whisky e cognac a stomaco vuoto, il malessere vago che anticipa la sbronza, il risveglio dopo un blackout senza ricordare giorni interi, e l’ossessionante paura di aver forse investito qualcuno con la macchina.
GLI RACCONTANO delle bottiglie da due decilitri di gin nascoste dietro i quadri e in nascondigli dalla cantina alla soffitta; delle giornate intere passate al cinema per resistere alla tentazione di bere; delle scappatelle dall’ufficio per trangugiare qualcosa di forte tra un lavoro e l’altro. Parlano di licenziamenti, di soldi rubati dalle borse delle mogli, del pepe messo nel whisky per dargli più carattere. Gli descrivono come ci si abitua a bere amari e pastiglie sedative, collutori o lozioni per capelli, o ad accamparsi davanti all’osteria del quartiero dieci minuti prima dell’apertura.Gli raccontano di mani che tremano così tanto da non riuscire a sollevare un bicchierino senza rovesciarlo; di liquido bevuto da boccali di birra – più facili da tenere fermi con due mani, anche a rischio di scheggiarsi un dente – o di asciugamani legati ai bicchieri per stabilizzarli, passandoli dietro la nuca. Di mani così scosse da sembrare sul punto di staccarsi e volare via, e di ore passate a starci seduti sopra per tenerle ferme.Questi e altri aneddoti da ubriaconi finiscono per convincere l’alcolista di trovarsi davanti a fratelli di sangue. Si crea così un ponte di fiducia, che colma il vuoto in cui medici, preti e parenti impotenti hanno sempre fallito. Attraverso questo legame, i membri degli Alcolisti Anonimi trasmettono, passo dopo passo, il loro programma di recupero – un metodo che ha funzionato per loro e che, ne sono certi, può funzionare per chiunque. Ammettono di non poter aiutare solo i casi psicotici o chi ha già danni cerebrali irreversibili (la cosiddetta “encefalopatia alcolica”). Intanto, però, si assicurano che il nuovo arrivato riceva tutte le cure mediche necessarie.MOLTI MEDICI e strutture sanitarie in tutto il paese oggi indirizzano i pazienti alcolisti agli Alcolisti Anonimi. In alcune città, tribunali e assistenti sociali collaborano con i gruppi locali. In alcuni reparti psichiatrici urbani, ai volontari dell’AA vengono persino concessi gli stessi permessi di visita del personale ospedaliero. Il Philadelphia General è uno di questi.Il dottor John F. Stouffer, primario di psichiatria, dichiara: «Qui arrivano soprattutto alcolisti che non possono permettersi cliniche private, e questa è di gran lunga la miglior soluzione che abbiamo mai potuto offrire. Anche tra quelli che a volte ricadono e finiscono di nuovo qui, notiamo un cambiamento radicale nella personalità. Sarebbero irriconoscibili».
L’Illinois Medical Journal, in un editoriale dello scorso dicembre, è andato oltre il dottor Stouffer, affermando: «È davvero un miracolo quando una persona che per anni è stata più o meno costantemente sotto l’effetto dell’alcol e in cui gli amici avevano perso ogni fiducia, passa tutta la notte con un ubriaco e a intervalli regolari gli somministra una piccola quantità di alcol su ordine del medico, senza bere una goccia lui stesso».
Questo si riferisce a una delle tante avventure da Mille e una Notte a cui si dedicano i membri degli Alcolisti Anonimi. Spesso, oltre a vegliare l’ubriaco, devono anche sederglisi sopra, perché molti alcolisti, quando sono sbronzi, sembrano trovare irresistibile l’idea di lanciarsi dalla finestra. Solo un ex-alcolista può stare accovacciato sul petto di un altro alcolista per ore, con la giusta combinazione di fermezza e comprensione.
Durante un recente viaggio tra l’Est e il Midwest, ho incontrato e parlato con decine di membri di AA (come si chiamano loro) e li ho trovati persone insolitamente calme e tolleranti. In qualche modo, sembravano più equilibrati della media dei non-alcolisti. La loro trasformazione da teppisti, bevitori di alcol denaturato e, in alcuni casi, mariti violenti, era sbalorditiva. In uno dei giornali più influenti del paese, ho scoperto che il caporedattore, il vice caporedattore e un giornalista di fama nazionale erano membri dell’AA, e godevano della piena fiducia dell’editore.
IN UN’ALTRA CITTÀ, ho sentito un giudice affidare un guidatore ubriaco ad un membro di AA. Quest’ultimo, ai tempi in cui beveva, aveva distrutto diverse auto e gli era stata ritirata la patente. Il giudice lo conosceva ed era felice di fidarsi di lui. Un brillante dirigente di un’agenzia pubblicitaria mi ha raccontato che due anni prima mendicava e dormiva in un portone sotto una sopraelevata. Aveva un portone preferito, che condivideva con altri senzatetto, e ogni tanto ci torna per assicurarsi di non stare sognando.
Ad Akron, come in altri centri industriali, i gruppi includono molti lavoratori manuali (Muratori, carpentieri, elettricisti, idraulici, operai di fabbrica, montatori, meccanici, braccianti, contadini, allevatori, autisti, magazzinieri, facchini, giardinieri, addetti alle pulizie, tecnici riparatori.
Al Cleveland Athletic Club, ho pranzato con cinque avvocati, un commercialista, un ingegnere, tre venditori, un assicuratore, un compratore, un barista, il direttore di una catena di negozi, il gestore di un negozio indipendente e un rappresentante di fabbrica. Erano membri di un comitato centrale che coordina il lavoro di nove gruppi locali. Cleveland, con oltre 450 membri, è il più grande centro dell’AA. I successivi per dimensioni sono Chicago, Akron, Philadelphia, Los Angeles, Washington e New York. In totale, ci sono gruppi in circa cinquanta città.
PARLANDO DEL LORO LAVORO, i membri degli AA definiscono il salvataggio di ubriachi come una “assicurazione” per se stessi. L’esperienza del gruppo ha dimostrato, dicono, che quando un alcolista in recupero rallenta in questa attività, è probabile che ricada. Sono tutti d’accordo: non esiste l’ex-alcolista. Se uno è alcolista – cioè una persona incapace di bere normalmente – lo rimane fino alla morte, proprio come un diabetico resta diabetico. Il massimo che può sperare è diventare un “casodi sobrietà attiva, nondi astinenza passiva.”, dove salvare altri ubriachi funziona come la sua insulina. Almeno, questo è ciò che sostengono gli AA, e l’opinione medica tende a confermarlo.
Quasi tutti affermano di aver perso ogni desiderio di alcol. La maggior parte serve ancora drink a casa quando arrivano amici e frequenta bar con compagni che bevono. Loro si limitano a bibite gassate e caffè. Un dirigente commerciale, per esempio, fa da bartender durante la festa annuale della sua azienda ad Atlantic City e passa le notti a mettere a letto gli ubriachi. Solo pochi di quelli guariti non riescono a liberarsi del timore che, da un momento all’altro, possano bere un goccio e ripartire in una sbornia disastrosa.
Un impiegato degli AA in una città dell’Est non tocca alcol da tre anni e mezzo, ma confessa di dover ancora camminare svelto davanti ai bar per vincere la vecchia tentazione. Ma è un’eccezione. L’unico retaggio dei tempi selvaggi che tormenta gli AA è un incubo ricorrente: nel sogno, si ritrovano in una sbronza colossale, disperati a nasconderla agli altri. Anche questo sintomo, però, nella maggior parte dei casi scompare.
Sorprendentemente, il tasso di occupazione tra queste persone – che un tempo si facevano licenziare una volta dopo l’altra – si aggira ora intorno al 90%.
Gli AA sostengono un’efficacia del 100% con gli alcolisti non psicotici che vogliono davvero smettere. Il programma, però, non funziona con chi “vorrebbe voler smettere” o lo fa solo per paura di perdere famiglia o lavoro. Il desiderio autentico deve nascere da un interesse personale consapevole: l’aspirante deve voler fuggire dall’alcol per evitare il carcere o una morte precoce. Deve essere nauseato dalla solitudine sociale in cui sprofonda l’alcolista incontrollato e aver voglia di riordinare la sua vita fallimentare.
Dato che è impossibile escludere tutti i casi borderline, la percentuale reale di successo scende sotto il 100%. Secondo le stime degli AA:
- 50% degli alcolisti recupera subito;
- 25% ha una o due ricadute prima di stabilizzarsi;
- il resto rimane un dubbio.
Questi numeri sono straordinari. Mancano statistiche sui metodi tradizionali (medici o religiosi), ma si stima informalmente che la loro efficacia non superi il 2-3% sui casi comuni.
ANCHE SE È TROPPO PRESTO per affermare che gli Alcolisti Anonimi siano la soluzione definitiva all’alcolismo, i loro risultati preliminari sono impressionanti e stanno guadagnando sostegno promettente. John D. Rockefeller Jr. ha contribuito a coprire i costi iniziali e si è impegnato personalmente per coinvolgere altre personalità di spicco.
LA DONAZIONE DI ROCKEFELLER fu modesta, rispettando la volontà dei fondatori di mantenere il movimento su base volontaria e non retribuita. Non ci sono organizzatori stipendiati, quote associative, cariche ufficiali né un controllo centralizzato. Localmente, l’affitto delle sale riunioni si copre con una colletta durante gli incontri. Nei piccoli centri, dove ci si riunisce in case private, non si chiedono contributi. Un piccolo ufficio a New York funge solo da centro di smistamento informazioni: niente insegna sulla porta, la posta arriva anonima tramite un box postale. L’unico ricavato, dalla vendita di un libro che descrive il metodo, è gestito dalla Alcoholic Foundation, un consiglio di tre alcolisti e quattro non alcolisti.
A Chicago, 25 medici collaborano con gli AA, offrendo servizi gratuiti e indirizzando i loro pazienti al gruppo locale, che oggi conta circa 200 membri. La stessa sinergia esiste a Cleveland e, in misura minore, altrove. Il dottor W. D. Silkworth di New York fu il primo medico a incoraggiare il movimento, ma molti colleghi restano scettici. Il neurologo Foster Kennedy, riferendosi probabilmente a loro, dichiarò un anno fa: «L’obiettivo di questa lotta all’alcolismo è nobile, i suoi successi significativi, e credo che i medici di buona volontà dovrebbero sostenerla».
A Philadelphia, l’aiuto attivo dei dottori A. Wiese Hammer e C. Dudley Saul ha reso il gruppo locale uno dei più efficaci tra quelli giovani. L’attività iniziò casualmente nel febbraio 1940, quando un uomo d’affari convertito agli AA fu trasferito da New York. Temendo di ricadere senza il lavoro di recupero, radunò tre avvinazzati del posto e li aiutò a smettere. Il quartetto iniziò allora a cercare altri casi. Entro il 15 dicembre, 99 alcolisti si erano uniti: 86 erano astemi totali (39 da 1-3 mesi, 17 da 3-6 mesi, 25 da 6-10 mesi). Altri 5, già membri in altre città, non bevevano da 1-3 anni.
AKRON, dove il movimento è nato, detiene il record interno di astinenza prolungata. Un recente controllo rivela:
- 2 membri sobri da 5 anni e mezzo
- 1 da 5 anni
- 3 da 4 anni e mezzo (uno con una ricaduta)
- 7 da 3 anni
- 3 da 3 anni (con una ricaduta ciascuno)
- 1 da 2 anni e mezzo
- 13 da 2 anni
Prima, la maggior parte di questi abitanti di Akron e Philadelphia non riusciva a stare senza alcol per più di qualche settimana.
NEL MIDWEST, il lavoro si è concentrato quasi esclusivamente su persone che non avevano ancora raggiunto lo stadio del ricovero istituzionale. Il gruppo di New York, pur avendo un nucleo simile, si è specializzato come attività collaterale nei casi già ricoverati, ottenendo risultati sorprendenti. Nell’estate del 1939, il gruppo iniziò a occuparsi degli alcolisti rinchiusi nel Rockland State Hospital di Orangeburg, un enorme manicomio che accoglie il riflusso disperato degli alcolisti cronici dei grandi centri urbani. Con l’appoggio del direttore sanitario, il dottor R. E. Baisdell, fu formato un reparto interno e gli incontri si tenevano nella sala ricreativa. I membri degli AA di New York si recavano a Orangeburg a tenere discorsi, e la domenica sera i pazienti venivano portati con i pullman statali in un club affittato dal gruppo di Manhattan sulla West Side.
IL PRIMO LUGLIO DELL’ANNO SUCCESSIVO, dopo undici mesi, i registri dell’ospedale mostrarono che, su 54 pazienti affidati agli Alcolisti Anonimi:
- 17 non avevano avuto ricadute,
- 14 ne avevano avuta solo una,
- 9 erano tornati a bere nelle loro comunità,
- 12 erano rientrati in ospedale,
- 2 risultavano irreperibili.
Il dottor Baisdell ha espresso parere favorevole sul lavoro in una lettera al Dipartimento di Igiene Mentale dello Stato e lo ha elogiato ufficialmente nel suo ultimo rapporto annuale.
Risultati ancora migliori sono stati ottenuti in due istituti pubblici del New Jersey, Greystone Park e Overbrook, che attirano pazienti di estrazione socioeconomica più elevata rispetto a Rockland, grazie alla vicinanza a ricchi villaggi suburbani. Secondo i registri degli AA:
- Su 7 pazienti dimessi da Greystone Park in due anni, 5 sono rimasti astemi per 1-2 anni;
- Su 10 pazienti dimessi da Overbrook, 8 hanno mantenuto l’astinenza per lo stesso periodo.
Gli altri hanno avuto da una a diverse ricadute.
PERCHÉ ALCUNI DIVENTANO ALCOLISTI?
Le opinioni degli esperti divergono. Quasi nessuno crede che si nasca “alcolisti”. Si può nascere, dicono, con una predisposizione ereditaria all’alcolismo, così come si può essere geneticamente vulnerabili alla tubercolosi. Il resto dipende da ambiente ed esperienze, sebbene una teoria suggerisca che alcuni siano allergici all’alcol, come i raffreddori da fieno ai pollini.
L’unico tratto comune a tutti gli alcolisti è l’immaturità emotiva. A ciò si lega un’altra osservazione: un numero insolitamente alto di alcolisti proviene da situazioni come:
- figlio unico,
- ultimogenito,
- unico maschio tra sorelle o unica femmina tra fratelli.
Molti hanno storie di precocità infantile ed erano quelli che definiamo bambini viziati.
SPESSO LA SITUAZIONE è complicata da un ambiente familiare squilibrato, dove un genitore è eccessivamente crudele e l’altro troppo permissivo. Questi fattori, uniti a uno o due divorzi, tendono a generare figli nevrotici, emotivamente impreparati ad affrontare le normali sfide della vita adulta.
Nel cercare una via di fuga, alcuni si immergono nel lavoro 12-15 ore al giorno, altri nell’alcol, che percepiscono come un rifugio piacevole. Il bere rinforza la loro autostima e cancella temporaneamente ogni senso di inferiorità sociale. Ma il consumo moderato sfocia presto nell’abuso. Amici e familiari si allontanano, i datori di lavoro perdono la pazienza. L’alcolista cova risentimento e si crogiola nell’autocommiserazione, giustificandosi con scuse infantili:
- “Ho lavorato sodo, merito di rilassarmi”
- “Mi fa male la gola per un vecchio intervento, un drink mi darebbe sollievo”
- “Mia moglie non mi capisce”
- “Sono nervoso”
- “Tutti ce l’hanno con me”
Diventa così, inconsciamente, un eterno fabbricante di scuse.
Pur bevendo, continua a ripetere a se stesso e agli altri che “potrebbe smettere quando vuole”. Per dimostrarlo, rimane astemio per settimane, presentandosi puntuale ogni giorno al bar preferito per bere latte o bibite gassate con aria di sfida, senza rendersi conto di cadere in un esibizionismo da adolescente. Illuso, passa a una birra al giorno… ed è l’inizio della fine. La birra moltiplica le dosi, fino a riportarlo ai superalcolici e a un’altra sbornia devastante.
Stranamente, la scintilla che scatena la ricaduta può essere un successo lavorativo tanto quanto una sfortuna. L’alcolista non sopporta né la prosperità né l’avversità.
IL RISVEGLIO NEL CAOS
Uscito dalla nebbia etilica, la vittima è confusa. Senza accorgersene, un’abitudine è diventata un’ossessione. Col tempo, non cerca più giustificazioni per quel primo drink fatale. Si sente solo travolto da un’inquietudine o un’euforia incontrollabile, e prima di realizzarlo, si ritrova al bar con un bicchierino vuoto e quella sensazione stimolante in gola.
Per un corto circuito mentale, ha cancellato il ricordo del dolore e del rimorso causati dalle sbronze precedenti. Dopo numerose esperienze simili, l’alcolista inizia a dubitare di sé: “Forse la mia forza di volontà, salda in altri campi, contro l’alcol è impotente?”.
Potrà:
- Continuare a combattere l’ossessione, finendo in una clinica disintossicante;
- Arrendersi, cadere nella disperazione e tentare il suicidio;
- Cercare aiuto esterno.
Se si rivolge agli Alcolisti Anonimi, viene prima guidato ad ammettere che l’alcol lo ha sconfitto e che la sua vita è diventata ingestibile. Raggiunto questo stato di umiltà intellettuale, gli viene offerta una dose di spiritualità nel senso più ampio. Gli viene chiesto di credere in un Potere Superiore a sé stesso, o almeno di mantenere una mente aperta sull’argomento mentre prosegue con il resto del programma.
Qualsiasi concetto di Potere Superiore è accettabile:
- Uno scettico o agnostico può scegliere di pensare al Sé interiore,
- Al miracolo della crescita,
- A un albero,
- Allo stupore dell’uomo per l’universo fisico,
- Alla struttura dell’atomo,
- O alla semplice infinità matematica.
Qualunque forma visualizzi, al neofita viene insegnato che deve fare affidamento su di essa e, a modo suo, pregare il Potere Superiore per ottenere forza.
IL PROCESSO DI GUARIGIONE
- Inventario morale
- Con l’aiuto privato di un altro membro (uno sponsor AA, un sacerdote, uno psichiatra o chiunque preferisca), fa un breve bilancio delle sue colpe.
- Se lo desidera, può condividere le sue mancanze durante una riunione, ma non è obbligatorio.
- Riparare i danni
- Restituisce ciò che ha rubato da ubriaco,
- Salda i debiti accumulati,
- Rimedia agli assegni a vuoto,
- Chiede scusa a chi ha ferito,
- E in generale ripulisce il suo passato per quanto possibile.
- Spesso gli sponsor lo aiutano economicamente nelle prime fasi.
- Superare il senso di colpa e il risentimento
- Poiché il senso di colpa alimenta l’ossessione dell’alcolista, questa catarsi è fondamentale.
- Inoltre, poiché nulla spinge un alcolista verso la bottiglia più del rancore, il nuovo membro fa una lista delle sue recriminazioni e si impegna a non lasciarsene turbare.
- Aiutare altri alcolisti
- A questo punto, è pronto per lavorare con altri alcolisti attivi.
- Questo processo di estroversione lo aiuta a pensare meno ai suoi problemi.
- Più persone riesce a coinvolgere negli AA, maggiore diventa la sua responsabilità verso il gruppo.
- Ora, ubriacarsi significherebbe tradire chi lo ha sostenuto.
- Crescita emotiva
- Inizia a maturare emotivamente, smettendo di dipendere dagli altri.
- Se cresciuto in una Chiesa ortodossa, spesso (ma non sempre) ritorna a essere un fedele praticante.
LA RIEDUCAZIONE DELLA FAMIGLIA
Parallelamente alla trasformazione dell’alcolista, avviene il riaggiustamento familiare.
- Mogli, mariti e figli di alcolisti spesso sviluppano nevrosi dopo anni di esposizione all’abuso.
- La rieducazione della famiglia è una parte essenziale del programma di recupero.
LE ORIGINI DEGLI ALCOLISTI ANONIMI
Gli AA non sono una scoperta rivoluzionaria, ma una sintesi di idee preesistenti, nata dalla collaborazione tra un broker di New York e un medico di Akron, entrambi alcolisti.
- Il dottor Armstrong (nome fittizio), dopo 35 anni di alcolismo periodico, aveva perso quasi tutta la sua clientela.
- Aveva provato di tutto, incluso il Gruppo Oxford, senza successo.
- Il giorno della Festa della Mamma del 1935, tornò a casa ubriaco, trascinando un costoso vaso di fiori che poggiò in grembo alla moglie, prima di crollare al piano di sopra.
Fu l’inizio di un percorso che lo avrebbe portato, insieme al broker, a fondare quello che oggi è il movimento degli Alcolisti Anonimi.
In quel momento, mentre agitato passeggiava nella hall di un hotel di Akron, c’era il broker di New York, che chiameremo arbitrariamente Griffith. Griffith era nei guai.
- Era venuto ad Akron per riprendere il controllo di un’azienda e rifarsi una posizione, ma aveva perso la battaglia per i procuratori.
- Il conto dell’hotel era insoluto,
- Era quasi al verde,
- E sentiva un disperato bisogno di bere.
IL PASSATO DI GRIFFITH
Durante la sua carriera a Wall Street, Griffith aveva concluso affari importanti e aveva prosperato, ma, a causa di sbronze maltimorate, aveva perso le opportunità più grandi.
- Cinque mesi prima di arrivare ad Akron, aveva smesso di bere grazie all’influenza del Gruppo Oxford di New York.
- Affascinato dal problema dell’alcolismo, era tornato più volte come visitatore in un ospedale di disintossicazione di Central Park West, dove era stato ricoverato, per parlare con i degenti.
- Non riuscì a ottenere guarigioni, ma scoprì che aiutare altri alcolisti gli permetteva di tenere a bada la propria voglia di bere.
L’INCONTRO CON IL DOTT. ARMSTRONG
A Akron, Griffith non conosceva nessun alcolista con cui confrontarsi. Ma un elenco delle chiese locali, appeso nella hall davanti al bar, gli diede un’idea:
- Telefonò a un pastore della lista,
- Attraverso di lui, contattò un membro del Gruppo Oxford locale,
- Quest’ultimo, amico del dottor Armstrong, organizzò un incontro a cena tra il medico e il broker.
Fu così che il dottor Armstrong divenne il primo vero discepolo di Griffith.
- All’inizio, la sua sobrietà era traballante: dopo qualche settimana di astinenza, partecipò a un convegno medico e tornò a casa ubriaco.
- Griffith, rimasto ad Akron per sistemare alcune questioni legali, lo riportò alla sobrietà.
- Era il 10 giugno 1935: i sorsi che il medico prese dalla bottiglia offertagli da Griffith furono gli ultimi della sua vita.
LA NASCITA DEL METODO AA
- Le cause legali di Griffith si prolungarono, trattenendolo ad Akron per sei mesi.
- Si trasferì a casa degli Armstrong, e insieme lavorarono con altri alcolisti.
- Prima che Griffith tornasse a New York, avevano convertito altri due abitanti di Akron.
Tuttavia, sia Griffith che il dottor Armstrong abbandonarono il Gruppo Oxford, ritenendo che:
- Il suo evangelismo aggressivo
- E alcuni dei suoi metodi
ostacolassero il lavoro con gli alcolisti.
Decisero così di basare la loro tecnica su un semplice principio:
“Prendere o lasciare”
E mantennero questa linea con fermezza.
I progressi furono lenti. Dopo il ritorno di Griffith a Est, il dottor Armstrong e sua moglie, laureata a Wellesley, trasformarono la loro casa in un rifugio gratuito per alcolisti e un laboratorio sperimentale per studiare il comportamento degli ospiti.
- Uno di loro, che all’insaputa dei padroni di casa era un maniaco-depressivo oltre che alcolista, una notte impazzì brandendo un coltello da cucina.
- Fu bloccato prima di poter ferire qualcuno.
- Dopo un anno e mezzo, solo dieci persone avevano risposto al programma e smesso di bere.
- I risparmi della famiglia erano ormai esauriti.
La sobrietà del medico aveva ridato slancio alla sua attività, ma non abbastanza da coprire le spese extra. Gli Armstrong andarono avanti a debito.
L’IMPEGNO DEI GRIFFITH
Anche Griffith, sposato con una donna spartana, trasformò la sua casa di Brooklyn in una replica di quella di Akron.
- Moglie di Griffith, membro di una vecchia famiglia brooklyniana, trovò lavoro in un grande magazzino e nel tempo libero faceva da infermiera agli ubriaconi.
- Anche i Griffith si indebitarono, mentre lui racimolava lavoretti saltuari nelle borse valori.
- Primavera 1939: tra Armstrong e Griffith, avevano portato circa cento alcolisti alla sobrietà.
LA NASCITA DEL LIBRO E DEL MOVIMENTO
In un libro pubblicato allora, gli ex bevitori descrissero il programma di guarigione e le loro storie personali.
- Titolo: Alcoholics Anonymous — adottato anche come nome del movimento, che fino ad allora ne era privo.
- Con la diffusione del libro, il movimento esplose rapidamente.
LE DIFFICOLTÀ DEI FONDATORI
- Dottor Armstrong: ancora alle prese con una pratica medica in difficoltà, sommerso dai debiti per il suo impegno nel movimento e dal tempo gratuito dedicato agli alcolisti.
- “Essendo una figura centrale, non può rifiutare le richieste d’aiuto che inondano il suo studio.”
- Griffith: in una situazione ancora peggiore.
- Negli ultimi due anni, lui e la moglie non hanno avuto una casa fissa.
- Vivono come i primi cristiani, spostandosi tra le case di colleghi di AA e a volte indossando vestiti prestati.
IL FUTURO DEL MOVIMENTO
Ora che la macchina è avviata, entrambi i fondatori vorrebbero ritirarsi ai margini del movimento per rimettersi in piedi economicamente.
- Sono fiduciosi: la struttura è autogestita e si espande da sola.
- Nessun timore di derive settarie: niente capi carismatici né un corpo dottrinale da imporre.
L’EFFETTO A CATENA
Dall’archivio della sede di New York emergono lettere spontanee:
- Molti hanno smesso di bere solo leggendo il libro, aprendo poi le loro case a piccoli gruppi locali.
- Un esempio eclatante: un’intera sezione di Little Rock nata così.
- Ad Akron, un ingegnere civile e sua moglie, per riconoscenza dopo la guarigione di lui (4 anni fa), ospitano costantemente alcolisti.
- Risultato: 31 guarigioni su 35 casi.
Venti pellegrini da Cleveland colsero l’idea ad Akron e tornarono a casa per fondare un loro gruppo. Da lì, il movimento si diffuse in modo organico in città come Chicago, Detroit, St. Louis, Los Angeles, Indianapolis, Atlanta, San Francisco, Evansville e altre.
- Un giornalista alcolista di Cleveland, con un polmone collassato chirurgicamente, si trasferì a Houston per motivi di salute. Trovò lavoro in un giornale locale e, attraverso una serie di articoli da lui scritti, avviò un gruppo AA che oggi conta 35 membri.
- Uno di questi membri si è poi spostato a Miami, dove ora cerca di aiutare alcuni degli illustri bevitori della colonia invernale.
- Un rappresentante di Cleveland ha contribuito a creare piccoli nuclei AA in diverse zone del paese.
- Men della metà dei membri AA ha mai incontrato Griffith o il dottor Armstrong.
RISULTATI INASPETTATI
Per un osservatore esterno — disorientato dal comportamento degli alcolisti, come molti di noi — i risultati ottenuti sono sorprendenti, specie nei casi più gravi. Ecco alcuni esempi (con nomi fittizi):
Sara Martin era un prodotto dell’epoca di F. Scott Fitzgerald.
Nata da genitori benestanti in una città dell’Ovest, frequentò collegi esclusivi sulla costa orientale e completò la sua educazione in Francia. Dopo il debutto in società, si sposò.
Sara trascorreva le notti tra alcol e balli fino all’alba, guadagnandosi la fama di ragazza che “reggeva bene il liquore”. Suo marito aveva uno stomaco debole, e lei ne fu disgustata. Divorziarono in fretta.
La caduta
Quando il patrimonio di suo padre venne spazzato via nel 1929, Sara trovò lavoro a New York e si mantenne da sola. Nel 1932, in cerca di avventure, si trasferì a Parigi, dove avviò un’attività in proprio, che ebbe successo. Ma continuò a bere pesantemente, e le sue ubriacature duravano sempre più a lungo.
- Nel 1933, dopo una sbronza, le dissero che aveva cercato di gettarsi da una finestra.
- Durante un’altra crisi, saltò (o cadde, non ricordava bene) dal primo piano, atterrando con la faccia sul marciapiede.
- Sei mesi di cure: ossa fratturate, interventi dentali e chirurgia plastica.
L’illusione del cambiamento
Nel 1936, Sara si convinse che tornare negli Stati Uniti l’avrebbe aiutata a “bere normalmente”. Quella fiducia infantile nel cambiamento geografico è una classica illusione che tutti gli alcolisti provano, prima o poi.
- Si ubriacò per tutto il viaggio in nave.
- A New York, terrorizzata, bevve per sfuggire alla realtà.
- Finiti i soldi, iniziò a chiedere prestiti agli amici. Quando questi la tagliarono fuori, si aggirò per i bar di Third Avenue, elemosinando drink dagli sconosciuti.
Fino a quel momento, aveva creduto di soffrire di un esaurimento nervoso. Solo dopo essersi fatta ricoverare in diversi sanatori, capì, leggendo, di essere un’alcolista.
La rinascita
Su consiglio di un medico, entrò in contatto con un gruppo di Alcolisti Anonimi. Oggi:
- Ha un nuovo lavoro dignitoso.
- Passa molte notti a bloccare donne ubriache e isteriche, per impedire loro di lanciarsi dalle finestre.
- Sulla trentina, Sara Martin è una donna attraente e serena. I chirurghi di Parigi avevano fatto un ottimo lavoro con lei.
Watkins, l’impiegato portuale caduto nell’abisso
Watkins era un magazziniere in una fabbrica. Nel 1927, un incidente con un ascensore lo lasciò ferito. La compagnia, grata che non avesse intentato causa, lo mise in congedo retribuito. Senza nulla da fare durante una lunga convalescenza, iniziò a frequentare gli speakeasy.
- Da bevitore moderato, cadde in sbronze lunghe mesi.
- Vendette i mobili per debiti, la moglie fuggì portando con sé i tre figli.
- In undici anni: 12 arresti, 8 condanne ai lavori forzati.
- Durante un attacco di delirium tremens, diffuse tra i detenuti la voce che la contea avvelenasse il cibo per ridurre i prigionieri. Scatenò una rivolta nella mensa.
- In un altro episodio, credendo che il detenuto nella cella sopra versasse piombo fuso su di lui, si tagliò polsi e gola con una lametta.
- Ricoverato con 86 punti di sutura, giurò di smettere. Ricadde ancora prima della rimozione delle bende.
La redenzione
Due anni fa, un ex compagno di sbornie lo indirizzò agli Alcolisti Anonimi. Da allora, non ha più toccato alcol.
- La famiglia è tornata, la casa ha nuovi mobili.
- Ripreso a lavorare, ha saldato $2000 di debiti e piccoli furti legati all’alcol.
- Ora sogna una nuova automobile.
Tracy, il genio della finanza diventato barbone
A 22 anni, Tracy, figlio precoce di una famiglia benestante, era il responsabile crediti in una banca d’investimento simbolo della follia speculativa anni ’20. Dopo il crollo della borsa, entrò in pubblicità, arrivando a guadagnare $23.000 l’anno.
- Il giorno della nascita di suo figlio, fu licenziato: invece di chiudere un contratto a Boston, finì nel prendersi una sbronza a Chicago.
- Da bevitore incallito, sprofondò nel degrado:
- Bevve liquido per accendini e tonici per capelli.
- Mendicò dai poliziotti (che davano volentieri spiccioli).
- In una notte gelida, vendette le scarpe per comprare da bere, sostituendole con stivaletti di gomma riempiti di carta.
La svolta
Si fece ricoverare in sanatori, più per scaldarsi che per disintossicarsi. Un medico gli parlò del programma AA.
- Tracy, cattolico, tornò alla fede con una confessione generale.
- Ricadde più volte, ma dopo una crisi nel febbraio 1939, smise definitivamente.
- Oggi guadagna di nuovo $18.000 l’anno nel settore pubblicitario.
Brewster, l’avventuriero che sfidò la sorte
Victor Hugo avrebbe amato Brewster, un avventuriero dalla tempra rude che affrontò la vita a muso duro. Era stato boscaiolo, mandriano e pilota di guerra. Nel dopoguerra, iniziò a portarsi sempre una fiaschetta in tasca, finendo presto per fare un tour dei sanatori.
- In uno di questi, sentendo parlare delle terapie d’urto, corruppe un inserviente della morgue con sigarette per poter meditare ogni pomeriggio su un cadavere.
- Il piano funzionò, finché un giorno non trovò un morto con una smorfia che sembrava un ghigno.
La rinascita (a metà)
Nel dicembre 1938, Brewster incontrò gli Alcolisti Anonimi e, dopo aver smesso di bere, trovò lavoro come venditore ambulante. Ma il destino gli riservò altre prove:
- Cataratta a entrambi gli occhi: uno operato (con spessi occhiali per vedere da lontano), l’altro tenuto dilatato con gocce per la vista ravvicinata.
- Una gamba gonfia e inutilizzabile (“milk leg“).
- Nonostante tutto, camminò per sei mesi prima di pareggiare i conti.
- Oggi, a cinquant’anni, guadagna 400$ al mese, facendo visita ai clienti tra mille difficoltà.
La nuova vita degli ex-alcolisti
Per i Brewster, i Martin, i Watkins, i Tracy e tutti gli altri reduci dall’alcol, ora c’è compagnia ovunque:
- Nelle grandi città, gli AA si ritrovano a pranzo in locali preferiti.
- A Cleveland, organizzano feste colossali a Capodanno e altre ricorrenze, con litri di caffè e bibite.
- A Chicago, tengono porte aperte venerdì, sabato e domenica (a rotazione tra Nord, Ovest e Sud), così nessuno ricade nella solitudine del weekend.
- Alcuni giocano a cribbage o bridge, con le vincite che finiscono in un fondo comuneper le spese.
- Altri ascoltano la radio, ballano, mangiano o parlano semplicemente.
Tutti gli alcolisti, ubriachi o sobri, amano chiacchierare.
Sono tra le persone più socievoli al mondo – e forse è proprio questo che li ha spinti a diventare alcolisti.
Jack Alexander
The Saturday Evening Post
1° marzo 1941
Indice delle pagine della storia di AA
Come in tante cose, specialmente per noi alcolisti, la nostra Storia è il nostro Bene Più Prezioso! Ognuno di noi è arrivato alla porta di AA con un’intensa e lunga “Storia di Cose Che Non Funzionano”. Oggi, in AA e nella Recupero, la nostra Storia si è arricchita di un’intensa e lunga “Storia di Cose Che FUNZIONANO!” E non rimpiangeremo il passato né vorremo chiuderci la porta alle spalle!
Continua a tornare!
Un giorno alla volta!
