
Carl Jung

Dr. C. George Boeree
Chiunque voglia conoscere la psiche umana apprenderà ben poco dalla psicologia sperimentale. Farebbe meglio ad abbandonare la scienza esatta, deporre la toga accademica, congedarsi dal suo studio e vagare con cuore umano per il mondo. Là, tra gli orrori delle prigioni, dei manicomi e degli ospedali, nelle squallide osterie periferiche, nei bordelli e nei covi del gioco d’azzardo, nei salotti dell’alta società, nelle Borse valori, alle riunioni socialiste, nelle chiese, durante i raduni revivalisti e nelle sette estatiche, attraverso l’amore e l’odio, vivendo nel proprio corpo ogni forma di passione, raccoglierebbe ben più ricche conoscenze di quanto potrebbero offrirgli manuali spessi un piede, e saprebbe curare i malati con una vera conoscenza dell’anima umana. — Carl Jung
Freud sosteneva che l’obiettivo della terapia fosse rendere conscio l’inconscio. Senza dubbio fece di questo il fine del suo lavoro teorico. Eppure, descrive l’inconscio come qualcosa di estremamente sgradevole, a dir poco: un calderone di desideri ribollenti, un pozzo senza fondo di brame perverse e incestuose, un cimitero di esperienze spaventose che tuttavia ritornano per perseguitarci. A dirla tutta, non sembra proprio qualcosa che avrei voglia di rendere conscio!
Un suo giovane collega, Carl Jung, avrebbe fatto dell’esplorazione di questo “spazio interiore” il lavoro della sua vita. Partì naturalmente armato di una formazione nella teoria freudiana e di una conoscenza apparentemente inesauribile di mitologia, religione e filosofia. Jung possedeva una competenza particolare nel simbolismo di tradizioni mistiche complesse come lo gnosticismo, l’alchimia, la cabala, e tradizioni analoghe nell’induismo e nel buddismo. Se mai ci fosse stato qualcuno in grado di decifrare l’inconscio e la sua abitudine di rivelarsi solo in forma simbolica, questi era Carl Jung.
Inoltre, possedeva una straordinaria capacità di produrre sogni lucidi e visioni occasionali. Nell’autunno del 1913, ebbe una visione di un’”inondazione mostruosa” che inghiottiva gran parte dell’Europa, le cui acque lambivano persino le montagne della sua natia Svizzera. Vide migliaia di persone annegare e la civiltà sgretolarsi. Poi, le acque si trasformarono in sangue. Questa visione fu seguita, nelle settimane successive, da sogni di inverni eterni e fiumi di sangue. Temette di stare impazzendo.
Il primo agosto di quell’anno scoppiò la Prima Guerra Mondiale. Jung avvertì che in qualche modo era esistito un legame – impossibile da spiegare razionalmente – tra sé come individuo e l’umanità nel suo insieme. Da quel momento fino al 1928, attraversò un processo di autoesplorazione piuttosto doloroso che avrebbe costituito il fondamento di tutte le sue successive elaborazioni teoriche.
Jung annotò meticolosamente i suoi sogni, fantasie e visioni, e li rappresentò anche attraverso disegni, dipinti e sculture. Scoprì che le sue esperienze tendevano a concretizzarsi in figure personificate, inizialmente un vecchio saggio e la sua compagna, una bambina. Il vecchio saggio si evolvette, attraverso una serie di sogni, in una sorta di guru spirituale. La bambina divenne “l’anima”, l’aspetto femminile che fungeva da principale medium di comunicazione con gli strati più profondi del suo inconscio.
Un nano rugoso e brunastro appariva a guardia dell’ingresso dell’inconscio. Era “l’ombra“, un compagno primordiale per l’io di Jung. In un sogno, Jung e il nano uccisero un bellissimo giovane biondo, da lui chiamato Siegfried. Per Jung, questo episodio rappresentava un monito sui pericoli del culto della gloria e dell’eroismo – che di lì a poco avrebbe causato tanta sofferenza in tutta Europa – nonché un avvertimento riguardo ai rischi delle sue stesse tendenze all’adorazione eroica, dirette persino verso Sigmund Freud!
Jung sognò spesso i morti, la terra dei morti e la loro resurrezione. Queste immagini rappresentavano l’inconscio stesso – non quel “piccolo” inconscio personale a cui Freud dava tanta importanza, bensì un nuovo inconscio collettivo dell’umanità intera, un inconscio capace di contenere tutti i defunti, non solo i nostri fantasmi personali. Jung cominciò a vedere i malati mentali come persone perseguitate da questi fantasmi, in un’epoca in cui nessuno dovrebbe più credere alla loro esistenza. Se solo potessimo recuperare le nostre mitologie, comprenderemmo questi fantasmi, imbarcheremmo familiarità con i morti e guariremmo le nostre malattie mentali.
Alcuni critici hanno suggerito che Jung fosse, molto semplicemente, malato quando tutto ciò accadde. Ma Jung riteneva che, se si vuole comprendere la giungla, non ci si possa accontentare di navigare avanti e indietro lungo la riva. Bisogna addentrarvisi, per quanto strana e spaventosa possa apparire.
Biografia
Carl Gustav Jung nacque il 26 luglio 1875 nel piccolo villaggio svizzero di Kessewil. Suo padre, Paul Jung, era un pastore protestante di campagna, mentre sua madre era Emilie Preiswerk Jung. Era circondato da una famiglia allargata piuttosto colta, che includeva numerosi uomini di chiesa e qualche personaggio eccentrico.
Il padre iniziò Carl allo studio del latino all’età di sei anni, dando il via a un duraturo interesse per le lingue e la letteratura – specialmente quella antica. Oltre alla maggior parte delle lingue europee moderne, Jung sapeva leggere diverse lingue antiche, incluso il sanscrito, la lingua degli antichi testi sacri indù.
Carl era un adolescente piuttosto solitario, che non amava particolarmente la scuola e soprattutto non sopportava la competizione. Frequentò un collegio a Basilea, in Svizzera, dove divenne oggetto di numerose vessazioni dettate dalla gelosia. Cominciò a usare la malattia come scusa, sviluppando un imbarazzante tendenza a svenire sotto pressione.
Nonostante la sua prima scelta di carriera fosse l’archeologia, proseguì gli studi in medicina all’Università di Basilea. Durante il tirocinio con il famoso neurologo Krafft-Ebing, si orientò definitivamente verso la psichiatria.
Dopo la laurea, assunse una posizione all’Ospedale Psichiatrico Burghölzli di Zurigo sotto la guida di Eugene Bleuler, esperto (e coniatore del termine) di schizofrenia. Nel 1903 sposò Emma Rauschenbach. In questo periodo insegnava anche all’Università di Zurigo, aveva uno studio privato e inventò il test di associazione verbale!
Da lungo tempo ammiratore di Freud, lo incontrò a Vienna nel 1907. Si racconta che dopo l’incontro Freud cancellò tutti i suoi appuntamenti e che i due conversarono per 13 ore di fila – tale fu l’impatto dell’incontro tra queste due grandi menti! Freud arrivò a considerare Jung come il principe ereditario della psicoanalisi e suo successore designato.
Tuttavia, Jung non aveva mai completamente abbracciato la teoria freudiana. Il loro rapporto iniziò a raffreddarsi nel 1909, durante un viaggio in America. Mentre si divertivano analizzando i rispettivi sogni (apparentemente più divertente del gioco delle freccette), Freud mostrò un’eccessiva resistenza agli tentativi di analisi di Jung. Alla fine Freud disse che avrebbero dovuto smettere perché temeva di perdere la sua autorità! Jung si sentì piuttosto insultato.
La Prima Guerra Mondiale rappresentò per Jung un doloroso periodo di introspezione. Fu però anche l’inizio di una delle più interessanti teorie sulla personalità che il mondo abbia mai conosciuto.
Dopo la guerra, Jung viaggiò molto, visitando tra l’altro popolazioni tribali in Africa, America e India. Si ritirò nel 1946 e iniziò a allontanarsi dalla vita pubblica dopo la morte della moglie nel 1955. Morì il 6 giugno 1961 a Zurigo.
Teoria
La teoria junghiana suddivide la psiche in tre componenti. La prima è l’io, che Jung identifica con la mente conscia. Strettamente connesso a questo troviamo l’inconscio personale, che comprende tutto ciò che non è attualmente conscio ma potrebbe esserlo. L’inconscio personale corrisponde all’idea comune di inconscio, in quanto include sia i ricordi facilmente recuperabili sia quelli che sono stati rimossi per qualche motivo. Tuttavia, a differenza della concezione freudiana, non incorpora gli istinti.
Jung aggiunge poi la parte della psiche che rende la sua teoria unica rispetto a tutte le altre: l’inconscio collettivo. Potresti chiamarlo la tua “eredità psichica”. È il serbatoio delle nostre esperienze come specie, una sorta di conoscenza con cui tutti noi nasciamo. Tuttavia, non possiamo mai esserne direttamente consapevoli. Influenza tutte le nostre esperienze e comportamenti, soprattutto quelli emotivi, ma ne veniamo a conoscenza solo indirettamente, osservando tali influenze
Alcune esperienze rivelano gli effetti dell’inconscio collettivo con particolare evidenza: l’amore a prima vista, il déjà-vu (la sensazione di “già vissuto”), il riconoscimento immediato di certi simboli e dei significati di alcuni miti possono essere compresi come l’improvvisa congiunzione tra la nostra realtà esteriore e la realtà interiore dell’inconscio collettivo. Esempi ancora più significativi sono le esperienze creative condivise da artisti e musicisti in ogni epoca e cultura, le esperienze spirituali dei mistici di tutte le religioni, o le corrispondenze che emergono nei sogni, nelle fantasie, nelle mitologie, nelle fiabe e nella letteratura.
Un esempio significativo, ampiamente discusso di recente, è l’esperienza di premorte. Sembra che molte persone, provenienti dai più diversi contesti culturali, riportino ricordi sorprendentemente simili dopo essere state rianimate da un incontro ravvicinato con la morte. Descrivono di aver abbandonato il proprio corpo, di averlo osservato dall’alto insieme alla scena circostante, di essere stati attratti attraverso un lungo tunnel verso una luce intensa, di aver visto parenti defunti o figure religiose ad attenderli, e la delusione provata nel dover abbandonare questa visione beatifica per ritornare nel proprio corpo. Forse siamo tutti “programmati” per vivere la morte in questo modo.
Archetipi
I contenuti dell’inconscio collettivo sono chiamati archetipi. Jung li chiamava anche dominanti, imagos, immagini mitologiche o primordiali, e con qualche altro nome, ma sembra che archetipi abbia prevalso su tutti questi. Un archetipo è una tendenza innata a vivere le esperienze in un certo modo.
L’archetipo non ha una forma propria, ma agisce come un «principio organizzatore» sulle cose che vediamo o facciamo. Funziona come gli istinti nella teoria di Freud: all’inizio, il bambino vuole solo qualcosa da mangiare, senza sapere esattamente cosa desidera. Ha un desiderio piuttosto indefinito che, tuttavia, può essere soddisfatto da alcune cose e non da altre. Successivamente, con l’esperienza, il bambino inizia a desiderare qualcosa di più specifico quando ha fame — una bottiglia, un biscotto, un’aragosta alla griglia, una fetta di pizza in stile New York.
L’archetipo è come un buco nero nello spazio: lo si riconosce solo da come attira a sé materia e luce.
L’archetipo della madre
L’archetipo della madre è un esempio particolarmente valido. Tutti i nostri antenati hanno avuto madri. Ci siamo evoluti in un ambiente che includeva una madre o un sostituto materno. Non saremmo mai sopravvissuti senza il nostro legame con una figura nutriente durante il nostro periodo di neonati indifesi. È logico che siamo “costruiti” in un modo che riflette quell’ambiente evolutivo: veniamo al mondo pronti a desiderare una madre, a cercarla, a riconoscerla, a relazionarci con lei.
Quindi, l’archetipo della madre è la nostra capacità innata di riconoscere una certa relazione, quella di “maternità”. Jung afferma che questo è piuttosto astratto, ed è probabile che proiettiamo l’archetipo nel mondo e su una persona particolare, di solito le nostre madri. Anche quando un archetipo non ha una persona reale particolare disponibile, tendiamo a personificare l’archetipo, cioè a trasformarlo in un personaggio mitologico da “libro di fiabe”. Questo personaggio simboleggia l’archetipo.
L’archetipo della madre è simboleggiato dalla madre primordiale o “madre terra” della mitologia, da Eva e Maria nelle tradizioni occidentali e da simboli meno personali come la chiesa, la nazione, una foresta o l’oceano. Secondo Jung, qualcuno la cui madre non è riuscita a soddisfare le richieste dell’archetipo potrebbe benissimo essere una persona che trascorre la sua vita cercando conforto nella chiesa, o nell’identificazione con “la madrepatria”, o nella meditazione sulla figura di Maria, o in una vita in mare.
Mana
È fondamentale comprendere che questi archetipi non sono entità biologiche, come gli istinti freudiani, bensì esigenze spirituali. Ad esempio, se sognaste oggetti allungati, Freud potrebbe suggerire che rappresentino il fallo e, in ultima analisi, il sesso. Ma Jung offrirebbe un’interpretazione ben diversa. Persino sognare esplicitamente un pene potrebbe non avere alcun legame con un bisogno sessuale insoddisfatto.
È interessante notare come, nelle società primitive, i simboli fallici raramente alludano alla sfera sessuale. Tipikamente rappresentano il mana, o potere spirituale. Questi simboli venivano esibiti in occasioni in cui si invocavano gli spiriti per accrescere il raccolto di grano, la pesca, o per guarire qualcuno. La connessione tra pene e forza, tra sperma e seme, tra fecondazione e fertilità è riconosciuta dalla maggior parte delle culture.
L’Ombra
Il sesso e gli istinti vitali in generale trovano ovviamente rappresentazione nel sistema junghiano. Sono parte di un archetipo chiamato l’Ombra. Questa deriva dal nostro passato preumano e animale, quando le nostre preoccupazioni si limitavano alla sopravvivenza e alla riproduzione, e non eravamo ancora autocoscienti.
Rappresenta il “lato oscuro” dell’io, e il male di cui siamo capaci vi è spesso custodito. In realtà, l’Ombra è amorale – né buona né cattiva, esattamente come gli animali. Un animale è capace di cure tenere verso i propri piccoli e di uccisioni feroci per procurarsi il cibo, ma non sceglie consapevolmente nessuna delle due. Semplicemente agisce secondo natura. È “innocente”. Tuttavia, dalla prospettiva umana, il mondo animale appare piuttosto brutale e disumano, quindi l’Ombra finisce per diventare una sorta di contenitore per quelle parti di noi che non riusciamo pienamente ad accettare.
I simboli dell’Ombra includono il serpente (come nel Giardino dell’Eden), il drago, i mostri e i demoni. Spesso custodisce l’ingresso a una caverna o a uno specchio d’acqua, che rappresentano l’inconscio collettivo. La prossima volta che sognate di lottare con il diavolo, potrebbe darsi che stiate semplicemente lottando con voi stessi!
La Persona
La Persona rappresenta la tua immagine pubblica. Il termine è ovviamente correlato alle parole “persona” e “personalità”, e deriva dal latino che significa “maschera”. Quindi la Persona è la maschera che indossiamo prima di mostrarci al mondo esterno. Sebbene nasca come archetipo, quando completiamo il suo sviluppo, essa diventa la parte di noi più distante dall’inconscio collettivo.
Nella sua forma migliore, è semplicemente la “buona impressione” che tutti desideriamo presentare mentre adempiamo ai ruoli che la società ci richiede. Ma naturalmente può anche essere l’”impressione falsa” che usiamo per manipolare le opinioni e i comportamenti altrui. Nel peggiore dei casi, può essere scambiata – persino da noi stessi – per la nostra vera natura: a volte crediamo davvero di essere ciò che fingiamo di essere!
Anima e Animus
Una componente della nostra persona è il ruolo maschile o femminile che siamo chiamati a interpretare. Per la maggior parte delle persone, questo ruolo è determinato dal sesso biologico. Ma Jung, come Freud, Adler e altri, riteneva che in realtà siamo tutti essenzialmente bisessuali per natura. Quando iniziamo la nostra vita come feti, possediamo organi sessuali indifferenziati che solo gradualmente, sotto l’influenza ormonale, assumono caratteristiche maschili o femminili. Allo stesso modo, quando iniziamo la nostra vita sociale come infanti, non siamo né maschi né femmine in senso sociale. Quasi immediatamente – non appena indossiamo quelle scarpine rosa o blu – cadiamo sotto l’influenza della società, che gradualmente ci plasma in uomini e donne.
In tutte le società, le aspettative rivolte a uomini e donne differiscono, generalmente in base ai nostri diversi ruoli nella riproduzione, ma spesso coinvolgono molti aspetti puramente tradizionali. Nella nostra società odierna, conserviamo ancora numerosi retaggi di queste aspettative tradizionali. Alle donne si richiede ancora di essere più accudenti e meno aggressive; agli uomini di essere forti e di ignorare la dimensione emotiva della vita. Ma Jung sosteneva che queste aspettative ci abbiano portato a sviluppare solo metà del nostro potenziale.
L’anima è l’aspetto femminile presente nell’inconscio collettivo degli uomini, e l’animus è l’aspetto maschile presente nell’inconscio collettivo delle donne. Insieme, sono chiamati syzygy. L’anima può essere personificata come una giovane ragazza, molto spontanea e intuitiva, oppure come una strega o come la madre terra. È probabilmente associata a una profonda emotività e alla forza stessa della vita. L’animus può essere personificato come un vecchio saggio, un mago o spesso come un gruppo di uomini, e tende a essere logico, spesso razionalista e persino polemico.
L’anima o l’animus è l’archetipo attraverso cui comunichiamo con l’inconscio collettivo in generale, ed è importante entrare in contatto con esso. È anche l’archetipo responsabile di gran parte della nostra vita amorosa: come suggerisce un antico mito greco, siamo sempre alla ricerca della nostra altra metà, quella metà che gli Dei ci hanno tolto, nei membri del sesso opposto. Quando ci innamoriamo a prima vista, significa che abbiamo trovato qualcuno che “riempie” particolarmente bene il nostro archetipo di anima o animus
Altri archetipi
Jung affermava che non esiste un numero fisso di archetipi che possiamo semplicemente elencare e memorizzare. Essi si sovrappongono e si fondono tra loro secondo necessità, e la loro logica non è di tipo convenzionale. Tuttavia, eccone alcuni da lui citati:
Oltre alla madre, esistono altri archetipi familiari. Ovviamente c’è il padre, spesso simboleggiato da una guida o una figura autoritaria. Esiste anche l’archetipo della famiglia, che rappresenta l’idea di legami di sangue e connessioni più profonde di quelle basate su ragioni consce.
C’è poi il bambino, rappresentato nella mitologia e nell’arte da infanti, in particolare neonati, ma anche altre piccole creature. Il Bambino Gesù celebrato a Natale è una manifestazione dell’archetipo del bambino e simboleggia il futuro, la trasformazione, la rinascita e la salvezza. Curiosamente, il Natale coincide con il solstizio d’inverno, che nelle culture primitive del nord rappresentava anch’esso il futuro e la rinascita. Le persone accendevano falò e compivano rituali per incoraggiare il ritorno del sole. L’archetipo del bambino spesso si fonde con altri archetipi, formando il bambino-dio o il bambino-eroe.
Molti archetipi sono personaggi narrativi. L’eroe è uno dei principali. È la personalità dotata di mana e il vincitore dei draghi malvagi. In sostanza, rappresenta l’Io – tendiamo infatti a identificarci con l’eroe della storia – ed è spesso impegnato a combattere l’Ombra, sotto forma di draghi e altri mostri. Tuttavia, l’eroe è spesso incredibilmente ingenuo. Del resto, ignora le vie dell’inconscio collettivo. Luke Skywalker, nella saga di Guerre Stellari, ne è l’esempio perfetto.
L’eroe è spesso intenzionato a salvare la fanciulla. Lei rappresenta purezza, innocenza e, con ogni probabilità, ingenuità. All’inizio della saga di Guerre Stellari, la principessa Leia è la fanciulla. Ma, con il progredire della storia, diventa l’Anima, scoprendo i poteri della Forza – l’inconscio collettivo – e trasformandosi in un’alleata alla pari di Luke, che si scoprirà essere suo fratello.
L’eroe è guidato dal vecchio saggio. Questi è una forma dell’Animus e rivela all’eroe la natura dell’inconscio collettivo. In Guerre Stellari, è interpretato da Obi-Wan Kenobi e, in seguito, da Yoda. Si noti come insegnino a Luke la Via della Forza e, man mano che Luke matura, essi muoiano per diventare parte di lui.
Potresti chiederti quale archetipo rappresenti Darth Vader, il “padre oscuro”. Egli è l’Ombra e il signore del lato oscuro della Forza. Inoltre, si scopre essere il padre di Luke e Leia. Quando muore, diventa uno dei vecchi saggi.
Esiste anche un archetipo animale, che rappresenta il rapporto dell’umanità con il mondo animale. Il fedele cavallo dell’eroe ne è un esempio. I serpenti sono spesso simboli di questo archetipo e sono considerati particolarmente saggi. Dopotutto, gli animali sono più in contatto con la loro natura di quanto lo siamo noi. Forse anche i robot leali e le vecchie astronavi affidabili – come il Millennum Falcon – sono simboli dell’animale.
E poi c’è il trickster (ingannatore), spesso rappresentato da un clown o un mago. Il suo ruolo è ostacolare il progresso dell’eroe e creare scompiglio in generale. Nella mitologia norrena, molte delle avventure degli dei iniziano a causa di qualche inganno ordito dal semidio Loki ai loro danni.
Altri archetipi sono più difficili da descrivere. Uno è l’uomo primordiale, rappresentato nella religione occidentale da Adamo. Un altro è l’archetipo di Dio, che incarna il nostro bisogno di comprendere l’universo, di attribuire un significato a tutto ciò che accade, di vederlo come dotato di uno scopo e una direzione.
L’ermafrodito, sia maschio che femmina, rappresenta l’unione degli opposti, un concetto fondamentale nella teoria junghiana. In alcune opere d’arte religiosa, Gesù è ritratto come un uomo piuttosto effeminato. Allo stesso modo, in Cina, il personaggio di Guan Yin nacque come santo maschio (il bodhisattva Avalokiteshvara), ma fu rappresentato in modo così femminile che oggi è spesso considerato la dea della compassione!
L’archetipo più importante di tutti è il Sé. Il Sé è l’unità ultima della personalità ed è simboleggiato dal cerchio, dalla croce e dalle figure di mandala che Jung amava dipingere. Un mandala è un disegno usato nella meditazione perché tende a riportare il focus al centro, e può essere semplice come una figura geometrica o complesso come una vetrata. Le personificazioni che meglio rappresentano il Sé sono Cristo e Buddha, due figure che molti considerano aver raggiunto la perfezione. Ma Jung riteneva che la perfezione della personalità si raggiunga veramente solo con la morte.

la dinamica della psiche
Finora abbiamo esaminato i contenuti della psiche. Ora passiamo ai principi che ne regolano il funzionamento. Jung ci offre tre principi fondamentali, a cominciare dal principio degli opposti.
Ogni desiderio evoca immediatamente il suo contrario. Se ho un pensiero buono, per esempio, da qualche parte dentro di me esisterà inevitabilmente anche il pensiero cattivo opposto. In realtà, è un concetto molto semplice: per avere un’idea del bene, devi necessariamente avere un’idea del male, proprio come non può esistere un alto senza un basso, o un nero senza un bianco.
Questa idea mi colpì chiaramente quando avevo circa undici anni. A volte cercavo di aiutare poveri e innocenti animali del bosco che erano stati feriti in qualche modo – anche se, temo, spesso finivo per ucciderli nel tentativo. Una volta provai a curare un piccolo pettirosso. Ma quando lo presi in mano, rimasi così colpito dalla sua leggerezza che mi venne in mente che avrei potuto schiacciarlo senza sforzo. Badate, l’idea non mi piaceva affatto, ma era indubbiamente lì.
Secondo Jung, è proprio l’opposizione a generare la forza (o libido) della psiche. È come i due poli di una batteria, o la scissione di un atomo. È il contrasto a produrre energia: un contrasto forte genera energia potente, un contrasto debole ne genera poca.
Il secondo principio è il principio di equivalenza. L’energia generata dall’opposizione viene distribuita in modo uguale a entrambi i lati. Quindi, quando tenevo in mano quel piccolo uccellino, c’era energia per provare a salvarlo, ma ce n’era altrettanta per schiacciarlo. Io scelsi di aiutarlo, e quell’energia si riversò nelle azioni necessarie. Ma che fine ha fatto l’altra energia?
Dipende tutto dall’atteggiamento che hai verso il desiderio che non hai soddisfatto. Se lo riconosci, lo affronti e lo mantieni accessibile alla coscienza, quell’energia contribuisce a un miglioramento generale della tua psiche. In altre parole, cresci.
Ma se fingi di non aver mai avuto quel pensiero “malvagio”, se lo neghi e lo reprimi, l’energia finirà per alimentare un complesso. Un complesso è un insieme di pensieri e sentimenti repressi che si raggruppano – si costellano – attorno a un tema legato a un archetipo.
Se neghi di aver mai pensato di schiacciare l’uccellino, quell’idea potrebbe prendere la forma offerta dall’Ombra (il tuo “lato oscuro”). Oppure, se un uomo nega la sua parte emotiva, la sua emotività potrebbe rifugiarsi nell’archetipo dell’Anima. E così via.
Ed è qui che nasce il problema. Se per tutta la vita fingi di essere solo buono, di non avere nemmeno la capacità di mentire, imbrogliare, rubare o uccidere, allora ogni volta che fai del bene, quell’altra parte di te si riversa in un complesso legato all’Ombra. Quel complesso inizierà a sviluppare una vita propria e ti perseguiterà. Potresti ritrovarti a fare incubi in cui calpesti piccoli uccellini indifesi!
“Se continua a lungo, il complesso potrebbe prendere il sopravvento, potrebbe ‘possederti’, e potresti ritrovarti con una personalità multipla. Nel film ‘I tre volti di Eva’, Joanne Woodward interpretava una donna timida e mite che alla fine scoprì di uscire e festeggiare in modo sfrenato il sabato sera. Non fumava, ma trovava sigarette nella sua borsa, non beveva, ma si svegliava con i postumi di una sbornia, non tradiva, ma si trovava in outfit sexy. Sebbene la personalità multipla sia rara, tende a coinvolgere questo tipo di estremi in bianco e nero.”
Il principio finale è quello dell’entropia. Questo principio esprime la tendenza degli opposti a riconciliarsi e dell’energia psichica a diminuire nel corso della vita di una persona. Jung prese in prestito l’idea dalla fisica, dove l’entropia descrive la tendenza di tutti i sistemi fisici a “esaurirsi”, ovvero a distribuire l’energia in modo uniforme.
Per esempio, se in un angolo della stanza c’è una fonte di calore, prima o poi l’intera stanza si riscalderà. Allo stesso modo, nella psiche, le tensioni tra opposti (come bene e male, razionalità e emozione) tendono a equilibrarsi con il tempo, riducendo gradualmente il conflitto interiore.
Da giovani, gli opposti tendono a essere estremi, ed è per questo che disponiamo di molta energia. Per esempio, gli adolescenti esagerano spesso le differenze tra maschile e femminile: i ragazzi si sforzano di apparire come dei macho, mentre le ragazze ricercano a tutti i costi un’immagine iper-femminile. Ed è proprio per questo che la loro sessualità è carica di un’energia così intensa! Inoltre, gli adolescenti oscillano facilmente da un estremo all’altro: un momento sono sfrenati e ribelli, quello dopo si gettano nello spirituale o nel moralismo.
“Man mano che invecchiamo, la maggior parte di noi si sente più a proprio agio con le diverse sfaccettature di sé. Siamo un po’ meno ingenuamente idealisti e riconosciamo che tutti siamo un misto di bene e male. Siamo meno minacciati dal sesso opposto che è in noi e diventiamo più androgini. Anche fisicamente, in vecchiaia, uomini e donne diventano più simili. Questo processo di elevazione al di sopra dei nostri opposti, di vedere entrambi i lati di ciò che siamo, si chiama trascendenza.”
Il Sé
L’obiettivo della vita è realizzare il Sé. Il Sé è un archetipo che rappresenta la trascendenza di tutti gli opposti, così che ogni aspetto della tua personalità si esprima in modo equilibrato. Non sei né uomo né donna, ma entrambi; né ego né ombra, ma entrambi; né buono né cattivo, ma entrambi; né conscio né inconscio, ma entrambi; né un individuo né l’intera creazione, ma entrambi. In questo stato, senza opposizioni, non c’è energia, e smetti di agire. Ma, naturalmente, non hai più bisogno di agire.
Per evitare che diventi troppo mistico, puoi vederlo come un nuovo centro, una posizione più equilibrata per la tua psiche. Quando sei giovane, ti concentri sull’ego e ti preoccupi delle banalità della persona. Quando sei più anziano (ammesso che tu ti sia evoluto come dovresti), ti focalizzi più in profondità, sul Sé, e ti avvicini a tutte le persone, a tutta la vita, persino all’universo stesso. La persona che ha realizzato il Sé, in realtà, è meno egoista.
Sincronicità
I teorici della personalità hanno discusso per anni se i processi psicologici funzionino in termini di meccanicismo o teleologia.
- Meccanicismo è l’idea che le cose funzionino per causa ed effetto: una cosa porta a un’altra, che a sua volta ne porta un’altra, così che il passato determina il presente.
- Teleologia è l’idea che siamo guidati dalle nostre idee su uno stato futuro, da scopi, significati, valori e simili.
Il meccanicismo è legato al determinismo e alle scienze naturali, mentre la teleologia è associata al libero arbitrio ed è diventata piuttosto rara. Oggi sopravvive soprattutto tra filosofi morali, giuridici e religiosi, oltre che tra alcuni teorici della personalità.
Tra le scuole citate in questo libro abbiamo freudiani e comportamentisti che tendono al meccanicismo mentre neo-freudiani, umanisti ed esistenzialisti inclinano alla teleologia. Jung, invece, credeva che entrambe le prospettive avessero un ruolo. Ma aggiunge una terza possibilità: la sincronicità.
La sincronicità è il verificarsi di due eventi non collegati causalmente né teleologicamente, eppure legati da un significato.
- Un paziente raccontava un sogno su uno scarabeo, quando all’improvviso un insetto molto simile volò contro la finestra.
- Alcuni sognano la morte di una persona cara e scoprono il giorno dopo che quella persona è effettivamente morta in quel momento.
- A volte si solleva il telefono per chiamare un amico, e proprio in quell’istante lui sta già chiamando.
La maggior parte degli psicologi liquiderebbe questi casi come coincidenze o cercherebbe di dimostrare che sono più probabili di quanto pensiamo. Jung, invece, li considerava segni di una connessione profonda tra esseri umani e natura, mediata dall’inconscio collettivo.
Jung e la spiritualità
Jung non fu mai chiaro sulle sue credenze religiose. Ma l’idea della sincronicità trova una spiegazione semplice nella visione induista della realtà: I nostri ego individuali sono come isole in un mare: crediamo di essere separati, ma sotto la superficie siamo uniti dal fondale oceanico. Il mondo esterno (maya, “illusione”) è visto come il sogno o la danza di Dio: creato da Lui, ma privo di realtà autonoma. Le nostre anime individuali (jivatman) sono in realtà frammenti dell’unico Atman (Dio), che si “dimentica” per sperimentare la separazione. Alla morte, ci risvegliamo e comprendiamo di essere sempre stati parte del Divino.
Quando sogniamo o meditiamo, ci avviciniamo all’inconscio personale e poi a quello collettivo, dove diventiamo più ricettivi a “comunicazioni” da altri ego.
La sincronicità rende la teoria di Jung una delle poche non solo compatibile con i fenomeni paranormali, ma addirittura in grado di spiegarli.
Introversione ed estroversione
Jung elaborò una tipologia della personalità che divenne così celebre da oscurare, agli occhi di molti, il resto della sua opera. Il fondamento di questa teoria risiede nella distinzione tra introversione ed estroversione.
L’introverso è colui che rivolge il proprio interesse prevalentemente verso il mondo interiore, quel regno di pensieri, emozioni, fantasie e sogni che costituisce la sua realtà soggettiva. L’estroverso, al contrario, orienta il suo sguardo verso l’esterno, trovando stimolo e nutrimento nel mondo concreto delle cose, delle persone e delle attività.
Questi concetti vengono spesso fraintesi, riducendoli a semplici sinonimi di timidezza o socievolezza. Sebbene gli introversi tendano effettivamente a essere più riservati e gli estroversi più espansivi, Jung attribuiva a questi termini un significato più profondo e strutturale. Per lui, la differenza essenziale riguardava la direzione verso cui l’Io volge abitualmente il proprio orientamento: verso la persona (la maschera sociale) e la realtà oggettiva, nel caso dell’estroverso, o verso l’inconscio collettivo e i suoi archetipi, nel caso dell’introverso.
Jung osservò che, in un certo senso, l’introverso possiede una maturità psicologica leggermente superiore. Tuttavia, riconobbe anche come la nostra società tenda a privilegiare indiscriminatamente l’estroversione, considerandola più adattiva. Con acume psicologico, fece notare come ciascuno di noi sia naturalmente portato a considerare superiore il proprio tipo psicologico.
Oggi questa dimensione fondamentale della personalità è stata incorporata in numerose teorie psicologiche successive. Hans Eysenck, per esempio, la riprese nella sua teoria, sebbene a volte la presentasse sotto denominazioni diverse come “socievolezza” o “surgentività”, dimostrando così la pervasività e l’importanza dell’intuizione junghiana.
La profondità di questa distinzione continua a influenzare non solo la psicologia accademica, ma anche la comprensione comune della natura umana, testimoniando la genialità dell’approccio tipologico di Jung.
Le funzioni
Introversi o estroversi, dobbiamo comunque relazionarci con il mondo, sia interiore che esteriore. Ognuno di noi ha i propri modi preferiti per farlo, approcci con cui si trova a proprio agio e in cui eccelle. Jung identifica quattro funzioni fondamentali:
La prima è la sensazione. Come suggerisce il nome, si tratta di ricevere informazioni attraverso i sensi. Una persona orientata alla sensazione è abile nell’osservare, ascoltare e conoscere il mondo in modo concreto. Jung la definì una funzione irrazionale, poiché implica la percezione piuttosto che la valutazione delle informazioni.
La seconda è il pensiero. Questo funzione consiste nel valutare informazioni o idee in modo razionale e logico. Jung la classificò come funzione razionale, poiché riguarda il processo decisionale e il giudizio, non il semplice assorbimento di dati.
La terza è l’intuizione. L’intuizione è una forma di percezione che opera al di fuori dei consueti processi consci. È irrazionale, come la sensazione, ma nasce dall’integrazione complessa di grandi quantità di informazioni, piuttosto che dalla semplice osservazione diretta. Jung la paragonava alla capacità di “vedere dietro l’angolo”.
La quarta è il sentimento. Analogamente al pensiero, il sentimento valuta le informazioni, ma lo fa basandosi sulla risposta emotiva complessiva. Jung la definì una funzione razionale, anche se in un’accezione diversa dal significato comune del termine.
Tutti possediamo queste quattro funzioni, ma in proporzioni diverse. Ognuno ha:
- una funzione superiore, quella più sviluppata e preferita;
- una funzione secondaria, consapevole e usata a supporto di quella dominante;
- una funzione terziaria, meno sviluppata e meno accessibile alla coscienza;
- una funzione inferiore, così poco sviluppata e inconscia che potremmo persino negarne l’esistenza in noi stessi.
La maggior parte di noi sviluppa solo una o due di queste funzioni, ma l’obiettivo ideale sarebbe coltivarle tutte e quattro. Ancora una volta, Jung vede nell’integrazione degli opposti la meta più alta.
Valutazione
Katharine Briggs e sua figlia Isabel Briggs Myers trovarono i tipi e le funzioni di Jung così illuminanti per comprendere la personalità che decisero di sviluppare un test cartaceo. Nacque così l’Indicatore Myers-Briggs (MBTI), oggi uno degli strumenti più diffusi e studiati al mondo.Attraverso circa 125 domande, il test colloca l’individuo in uno dei sedici tipi psicologici, con la consapevolezza che alcune persone potrebbero ritrovarsi in una posizione intermedia tra due o tre profili. Il risultato rivela molto su di te: preferenze, possibili scelte professionali, compatibilità con gli altri e altro ancora. A differenza di molti test psicologici, l’MBTI ha il pregio di non essere giudicante: nessun tipo è presentato come negativo o eccessivamente positivo. Piuttosto che misurare quanto “fuori norma” tu sia, ti offre semplicemente una mappa per esplorare la tua personalità.Le quattro scale dell’MBTI
Il test si basa su quattro dimensioni principali. La prima e più significativa è Estroversione (E) – Introversione (I), dove le ricerche indicano che circa il 75% della popolazione tende all’estroversione. Segue la scala Sensazione (S) – Intuizione (N), con il 75% delle persone che privilegia un approccio concreto (sensazione), mentre il restante 25% è più intuitivo.
La terza dimensione, Pensiero (T) – Sentimento (F), presenta una distribuzione uniforme nella popolazione generale, ma con una differenza di genere: due terzi degli uomini sono pensatori, mentre due terzi delle donne sono sentimentali. Questo dato potrebbe sembrare uno stereotipo, ma nella prospettiva junghiana pensiero e sentimento hanno pari valore. Inoltre, un terzo degli uomini è comunque orientato al sentimento, così come un terzo delle donne al pensiero. Tuttavia, poiché la società valuta diversamente queste funzioni, gli uomini più sensibili e le donne più razionali spesso affrontano pregiudizi e aspettative stereotipate.
L’ultima dimensione, Giudizio (J) – Percezione (P), non faceva parte della teoria originale di Jung. Myers e Briggs l’hanno introdotta per identificare la funzione dominante di una persona. Chi ha una preferenza per il Giudizio tende a essere metodico, a volte persino controllato, mentre chi predilige la Percezione è generalmente spontaneo, se non occasionalmente imprudente.
Se sei estroverso (E) e hai un alto punteggio in J, la tua funzione dominante sarà pensiero (T) o sentimento (F), a seconda di quale prevale. Se invece sei estroverso ma con una forte P, sarai più orientato verso sensazione (S) o intuizione (N). Per gli introversi (I), un alto J indica una preferenza per sensazione o intuizione, mentre un alto P suggerisce che pensiero o sentimento guidano la personalità. La distribuzione tra J e P nella popolazione è sostanzialmente equilibrata.
Ogni personalità viene identificata da una sigla di quattro lettere (ad esempio, ENFJ). Queste combinazioni sono diventate così popolari che, in alcuni Paesi, le si può persino trovare sulle targhe delle automobili!
Descrizione dei Tipi Psicologici
ENFJ (Sentimento estroverso con intuizione): Persone comunicative, tendono a idealizzare gli amici. Sono genitori affettuosi, ma a volte si lasciano sfruttare. Eccellono come terapisti, insegnanti, dirigenti e venditori.
ENFP (Intuizione estroverso con sentimento): Amano la novità e le emozioni intense. Sono espressivi, ma possono soffrire di tensione muscolare e ipervigilanza. A volte si sentono in imbarazzo. Dotati per la vendita, la pubblicità, la politica e la recitazione.
ENTJ (Pensiero estroverso con intuizione): Leader naturali, esigenti in famiglia e amanti dell’organizzazione. Ottimi dirigenti e amministratori.
ENTP (Intuizione estroverso con pensiero): Vivaci e anticonformisti, poco inclini all’ordine. Come partner possono essere imprevedibili, soprattutto a livello economico. Abili analisti e imprenditori, ma a volte competitivi.
ESFJ (Sentimento estroverso con sensazione): Ricercano armonia e seguono regole rigide. Possono essere dipendenti, prima dai genitori, poi dal partner. Espressivi ed empatici, eccellono in professioni di servizio.
ESFP (Sensazione estroverso con sentimento): Generosi e impulsivi, poco tolleranti all’ansia. Ottimi intrattenitori, amano le pubbliche relazioni e le chiacchiere al telefono. Poco portati per carriere accademiche o scientifiche.
ESTJ (Pensiero estroverso con sensazione): Partner e genitori responsabili, leali e pragmatici. Amano l’ordine e la tradizione, spesso coinvolti in attività civiche.
ESTP (Sensazione estroverso con pensiero): Orientati all’azione, a volte spietati (i nostri “James Bond”). Affascinanti ma poco propensi all’impegno. Ottimi promoter, imprenditori e… imbroglioni.
INFJ (Intuizione introverso con sentimento): Persone riservate e profonde, desiderose di contribuire al bene comune. Sensibili e riservate fisicamente. Spesso considerate “psichiche”. Eccellono come terapisti, medici, ministri religiosi.
INFP (Sentimento introverso con intuizione): Idealisti e altruisti, riservati e legati alla famiglia. Faticano a rilassarsi. Trovi loro in psicologia, architettura e religione, mai negli affari. Jung e io ammiriamo questo tipo… perché apparteniamo a questa categoria!
INTJ (Intuizione introverso con pensiero): Indipendenti e logici, attratti dalla ricerca scientifica. A volte ossessionati dalle loro idee.
INTP (Pensiero introverso con intuizione): Fedeli ma distratti, veri topi di biblioteca. Precisi nel linguaggio, portati per logica e matematica. Filosofi e scienziati teorici eccellenti, ma pessimi venditori o scrittori.
ISFJ (Sensazione introverso con sentimento): Dediti al lavoro e al servizio, ma vulnerabili alla fatica. Attratti da persone problematiche. Ottimi infermieri, insegnanti, segretari e bibliotecari.
ISFP (Sentimento introverso con sensazione): Timidi e riservati, amano l’arte e la natura. Poco inclini agli impegni a lungo termine.
ISTJ (Sensazione introverso con pensiero): Pilastri affidabili, cercano di “correggere” gli altri. Eccellono come revisori contabili, insegnanti, supervisori e scout.
ISTP (Pensiero introverso con sensazione): Avventurosi e impulsivi, difficili da fermare. Appassionati di strumenti tecnici e armi, spesso esperti in campo meccanico. Scarsi nella comunicazione, a volte diagnosticati erroneamente come dislessici o iperattivi.
Anche senza fare il test, potresti riconoscerti in uno di questi tipi. Oppure chiedi a chi ti conosce: potrebbero essere più obiettivi! Se vuoi, puoi fare il mio test della personalità junghiana online cliccando qui!
Discussione
Molte persone ritengono che Jung abbia molto da dire loro. Tra queste ci sono scrittori, artisti, musicisti, registi, teologi, membri del clero di ogni confessione, studiosi di mitologia e, naturalmente, alcuni psicologi. Esempi che vengono in mente sono il mitologo Joseph Campbell, il regista George Lucas e l’autrice di fantascienza Ursula K. Le Guin. Chiunque sia interessato alla creatività, alla spiritualità, ai fenomeni psichici e all’universale troverà in Jung una mente affine.
Tuttavia, gli scienziati – inclusi la maggior parte degli psicologi – hanno molte difficoltà con Jung. Non solo egli sostiene pienamente la visione teleologica (come molti teorici della personalità), ma va oltre, parlando dell’interconnessione mistica della sincronicità. Non solo postula un inconscio inaccessibile all’osservazione empirica, ma arriva a teorizzare un inconscio collettivo che non è mai stato, né mai sarà, conscio.
In effetti, Jung adotta un approccio diametralmente opposto al riduzionismo scientifico dominante: parte dai livelli più elevati – persino dallo spiritualismo – e da questi deriva gli aspetti inferiori della psicologia e della fisiologia.
Persino gli psicologi che apprezzano la sua teleologia e la sua posizione anti-riduzionista possono trovarlo scomodo. Come Freud, Jung cerca di inglobare tutto nel suo sistema. Lascia poco spazio al caso, all’imprevisto o alle circostanze esterne. La personalità – e la vita in generale – sembrano “iper-spiegate” nella sua teoria.
Ho notato che il suo pensiero attrae talvolta studenti che faticano a confrontarsi con la realtà. Quando il mondo, soprattutto quello sociale, diventa troppo difficile, alcune persone si rifugiano nella fantasia. Alcuni, ad esempio, diventano passivi spettatori della vita. Altri si affidano a ideologie complesse che pretendono di spiegare tutto. Alcuni si avvicinano a religioni gnostiche o tantriche, quelle che presentano intricati elenchi di angeli, demoni, paradisi e inferni, perdendosi in discussioni infinite sui simboli. Altri si rivolgono a Jung. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato in questo; ma per chi ha perso il contatto con la realtà, difficilmente sarà d’aiuto.
Queste critiche non smantellano le fondamenta della teoria junghiana. Ma suggeriscono che un esame più cauto sia opportuno.
Aspetti positivi
Tra i punti di forza della teoria junghiana troviamo il Myers-Briggs e altri test basati sui tipi e le funzioni psicologiche di Jung. Poiché non classificano le persone lungo scale che vanno dal “buono” al “cattivo”, risultano molto meno minacciosi e incoraggiano una maggiore consapevolezza di sé.
A prima vista, gli archetipi potrebbero sembrare l’idea più bizzarra di Jung. Eppure si sono rivelati estremamente utili nell’analisi di miti, fiabe, letteratura, simbolismo artistico e interpretazione religiosa. Sembrano catturare alcune delle “unità fondamentali” della nostra espressione interiore. Molti hanno osservato che nel mondo esistono solo un certo numero di storie e personaggi, e che noi continuiamo semplicemente a riorganizzarne i dettagli.
Questo suggerisce che gli archetipi si riferiscano effettivamente a strutture profonde della mente umana. Del resto, dal punto di vista fisiologico, veniamo al mondo con una struttura predefinita: vediamo, udiamo, “elaboriamo informazioni” e agiamo in modi specifici perché i nostri neuroni, ghiandole e muscoli sono organizzati in un certo modo. Alcuni psicologi cognitivi hanno persino proposto di cercare le strutture neurali corrispondenti agli archetipi junghiani!
Infine, Jung ci ha aperto gli occhi sulle differenze tra sviluppo infantile e maturità adulta. I bambini enfatizzano chiaramente la differenziazione – separare una cosa dall’altra – nel loro apprendimento. “Cos’è questo?” “Perché è così e non in un altro modo?” “Quanti tipi ne esistono?” Cercano attivamente la diversità. E molti, psicologi inclusi, sono rimasti così colpiti da questo processo da ritenere che tutto l’apprendimento si riduca a differenziazione, all’accumulo di sempre più “nozioni”.
Ma Jung ha sottolineato che gli adulti cercano soprattutto integrazione, il superamento degli opposti. Gli adulti esplorano le connessioni tra le cose, come si incastrano, come interagiscono, come contribuiscono al tutto. Vogliamo dare un senso alla realtà, trovarne il significato e lo scopo. I bambini scompongono il mondo; gli adulti cercano di ricucirlo.
Collegamenti
Da un lato, Jung rimane legato alle sue radici freudiane. Sottolinea l’inconscio persino più degli stessi freudiani. In effetti, potrebbe essere visto come l’estensione logica della tendenza di Freud a ricercare le cause degli eventi nel passato. Anche Freud parlava di miti – come quello di Edipo – e del loro impatto sulla psiche moderna.
Dall’altro, Jung ha molto in comune con i neo-freudiani, gli umanisti e gli esistenzialisti. Crede che siamo destinati a progredire, a muoverci in una direzione positiva, e non semplicemente ad adattarci, come vorrebbero freudiani e comportamentisti. La sua idea di realizzazione del Sé è chiaramente affine al concetto di autorealizzazione.
L’equilibrio o il superamento degli opposti trova riscontri anche in altre teorie. Alfred Adler, Otto Rank, Andreas Angyal, David Bakan, Gardner Murphy e Rollo May fanno tutti riferimento alla necessità di bilanciare due tendenze contrapposte: una verso lo sviluppo individuale e l’altra verso la compassione o l’interesse sociale. Rollo May descrive la psiche come composta da molti “dèmoni” (piccole divinità interiori), come il desiderio di sesso, amore o potere. Tutti sono positivi nel loro giusto posto, ma se uno di loro prendesse il sopravvento sulla personalità, si arriverebbe alla “possessione demoniaca” – ovvero alla malattia mentale!
Infine, dobbiamo a Jung l’ampliamento delle possibilità interpretative, che si tratti di sintomi, sogni o libere associazioni. Mentre Freud sviluppò interpretazioni piuttosto rigide (in particolare di tipo sessuale), Jung aprì la strada a un approccio più libero, di tipo mitologico, in cui qualsiasi cosa poteva significare… beh, qualsiasi altra cosa. L’analisi esistenziale, in particolare, ha tratto grande beneficio dalle sue idee.
Letture consigliate
La maggior parte degli scritti di Jung è raccolta nei Collected Works of Carl G. Jung. Tuttavia, devo avvertirti: molte delle sue opere non sono di facile lettura, ma sono così ricche di spunti interessanti da valere lo sforzo.
Se cerchi qualcosa di più accessibile, potresti provare Psicologia analitica: teoria e pratica, una raccolta di lezioni disponibile anche in edizione economica. Oppure L’uomo e i suoi simboli, pubblicato in diverse versioni, dai volumi illustrati a colori alle edizioni tascabili più economiche. Se vuoi un assaggio del pensiero junghiano, una buona scelta è un’antologia come Gli scritti fondamentali di C. G. Jung della Modern Library.
Il miglior libro su Jung che abbia mai letto, però, è la sua autobiografia Ricordi, sogni, riflessioni, scritta con la collaborazione della sua allieva Aniela Jaffé. È un’ottima introduzione, a patto di aver prima letto qualcosa come il capitolo precedente di questo libro.
Indice delle pagine della storia di AA
Come in tante cose, specialmente per noi alcolisti, la nostra Storia è il nostro Bene Più Prezioso! Ognuno di noi è arrivato alla porta di AA con un’intensa e lunga “Storia di Cose Che Non Funzionano”. Oggi, in AA e nella Recupero, la nostra Storia si è arricchita di un’intensa e lunga “Storia di Cose Che FUNZIONANO!” E non rimpiangeremo il passato né vorremo chiuderci la porta alle spalle!
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